L’avevo cominciato prendendolo un po’ sottogamba, “Espiazione” di Ian McEwan (Einaudi) – come capita con un libro che ti trovi in casa senza sapere bene perchè. E non senza qualche diffidenza, sarà che l’ambientazione in una residenza dell’aristocrazia rurale britannica non è certo nuova.
Ma poi che pagine che sono queste. Anche se non pretendono di essere facili e scorrevoli come un torrentello di parole.
Espiazione è un grande romanzo sulla colpa, anzi, sul senso della colpa. Sui grandi interrogativi della morale fuori da ogni grande visione morale, perché in gioco qui c’è semplicemente il modo di stare al mondo, di relazionarci agli altri.
Semplicemente: si fa per dire. Perché la colpa è anche questo: segno, cicatrice. Ciò che rimane quando gli eventi sono alle spalle.
E forse la cosa che fa più impressione è proprio questo. Quanto rimane nel passare del tempo. La forza delle conseguenze che discendono anche da un singolo gesto, da una debolezza o da uno smarrimento.
La colpa di una ragazzina di 13 anni scaricata su una persona innocente. Un accusato che per tutta la vita ne sarà segnato. Però anche l’accusatore che non se ne libererà più. Tanto che la narrazione scandisce un percorso di espiazione di un’anziana: un tempo era proprio lei quella ragazzina.
Alla fine chiudi questo libro e mettendolo via già sei alla prese con la malinconia del lettore, che sa fin troppo bene che anche questa volta i fili di questa storia, i suoi personaggi, svaniranno dalla sua memoria.
Però ecco, sono sicuro che l’emozione di questa lettura rimarrà anche quando di questo libro mi rammenterò poco o niente.
Succede, succede proprio con i grandi libri.