Ci sono dei momenti che rappresentano senza appello un passaggio epocale. Una cesura. Una nuova era. Indubbiamente uno di questi passaggi, di cui non potremmo non tener conto da ora in poi, è stato siglato, volenti o nolenti, dalla pandemia Covid-19. I riflessi sono tanti e a tutti i livelli, ma quel che colpisce di più è l’impatto generato e riflesso, oltre a quello sanitario ed economico, sulle relazioni umane e sulla vita sociale. Niente sarà uguale a prima. Per quanto riguarda la Sanità, la pandemia dovrebbe averci insegnato molto, ma si sa che le lezioni in Italia durano poco. Giusto il tempo dell’emergenza. Da qui la necessità, di trarre almeno qualche spunto di riflessione, sperando di crescere più forti da questa situazione. Senza entrare nelle complesse dinamiche finanziarie e geopolitiche legate al nostro Paese e all’Europa, è evidente a tutti che nella Sanità pubblica si è tagliato troppo, da troppo tempo. Solo nell’ultimo decennio, c’è stato un definanziamento di ben trentasette miliardi, dedicato alla Sanità. Se adesso arrivano tre miliardi e mezzo sul piatto, al netto di quello che poi saranno ulteriori risorse provenienti dall’Europa, non è che un ristoro passeggero, se non si decide di investire queste risorse su aspetti strutturali, che rendano più resiliente e forte il sistema nel suo complesso. E’ questo il punto, prima che ci siamo dimenticati di nuovo della Sanità, e che altre emergenze necessitino di attenzione e risorse. E’ da potenziare il territorio, che ridotto ai minimi termini come risorse umane e dotazioni strumentali, è stato spesso travolto come prima linea.
Tagli su tagli Ma se Atene piange, Sparta non ride, con gli ospedali, strutture dedicate agli acuti, che, secondo il rapporto dell’annuario del Sistema Sanitario Nazionale del Ministero della Salute 2007, sono stati tagliati addirittura del 16% in dieci anni, da 1.197 del 2007 ai mille del 2017, con quasi duecento strutture chiuse o riconvertite. I posti letto (Quotidianosanità.it) sono passati da 259.476 nel 2007, a 213.669 dieci anni dopo, con un taglio del 17% e 45.000 posti letto in meno. Per non parlare di medici e infermieri, nonché del personale sanitario in genere, ridotti all’osso per poi assurgere all’improvviso ad eroi, in uno scenario surreale che li ha visti comunque e sempre in prima linea, spesso e volentieri senza poter avere a disposizione i necessari dispositivi di protezione individuale e collettiva. Anche le stesse strutture ospedaliere e la loro logistica, dovranno rispondere alle nuove sfide con percorsi separati, ad esempio, ma anche con accorgimenti semplici, come quello di dotare le corsie e gli ambienti ospedalieri di aperture su cui non si debbano necessariamente posare le mani di tutti.
L’opportunità da cogliere Considerazioni che possono apparire banali, ma che sono in realtà aspetti su cui si dovrà riflettere. Sulla necessità di rifinanziare la Sanità pubblica, aumentare i posti letto e potenziare il territorio, assumere medici e infermieri, rivedere la logistica, non si potrà quindi non riflettere. Ma c’è un’opportunità dietro l’angolo, che rischiamo di non cogliere, finendo per cambiare tutto, per non cambiare niente. Il Decreto Legge 34 del 2020 guarda anche a potenziali altre emergenze pandemiche, e in questo senso chiede alle Regioni e alle Province autonome di “garantire l’incremento delle attività in regime di ricovero, rendendo strutturale la risposta”, attraverso l’aumento di “una dotazione di posti letto di terapia intensiva pari a 0.14 posti letto per mille abitanti”, oltre ad un’implementazione delle subintensive, assicurando che almeno il 50 % delle stesse sia immediatamente convertibile in posti di terapia intensiva. Non approfittarne per risolvere le ataviche criticità di quelle aree, a torto giudicate periferiche e disagiate, vittime nei decenni dei processi di accentramento delle funzioni negli Ospedali di grandi dimensioni, significa non aver capito niente. Questi Ospedali, nelle zone interne, sulle isole, nelle aree rarefatte e montane del nostro Paese, hanno rappresentato un’opportunità e una vera e propria ancora di salvezza, proprio durante l’emergenza Covid. Anziché inventarsi in fretta e furia letti di terapia intensiva in strutture dismesse, in aree fieristiche, nei battelli o su mezzi mobili, avere dei presidi in un sistema più capillare e meno concentrato, può dare la possibilità di rendere il sistema e la risposta alle emergenze pandemiche, più elastica e strutturale, esattamente come chiede anche il Ministero.
I contesti di area vasta In Toscana, e qui si pone il problema della Sanità regionalizzata, polverizzata e costretta a diverse velocità, addirittura si è pensato di applicare il nuovo indice ministeriale, che prevedeva un aumento dei posti letto di terapia intensiva, ai contesti di area vasta, che esistono solo da noi. Il risultato è che sono stati potenziati Ospedali che già avevano posti di terapia intensiva, senza dare ai territori la possibilità di essere un vero riferimento per i propri ambiti di competenza. Se tutto ciò deve servire ad allargare il divario fra centro e periferia, abbiamo davvero imparato qualcosa? Volterra, ma anche Massa Marittima e l’Elba, e rischia di essere solo la punta dell’iceberg, sono già “sul piede di guerra” per l’ennesima beffa ai danni delle aree disagiate. Se a parole, personaggi come l’ex responsabile sanità nazionale del PD Federico Gelli, afferma che se c’è un dato, che è emerso con grande forza in questa pandemia «è che le idee, le strategie, le decisioni che sono state adottate nel passato, sono totalmente superate» e che «abbiamo la necessità di riorganizzare i nostri presidi ospedalieri, anche quelli periferici», nella realtà dei fatti, gli schemi sembrano essere quelli di sempre, con un accentramento che si è mostrato fallimentare su tutti i fronti. Se è vero che niente sarà più come prima, non è forse necessario cambiare anche la cornice di riferimento delle decisioni che vengono prese, ossia, nel caso della Toscana, l’attuale piano socio sanitario regionale integrato, che pur se recentemente approvato, è nato ed è stato varato in età pre-Covid? Speriamo che la campagna elettorale si occupi anche di questo, altrimenti ogni decisione sarà falsata da un contesto di riferimento, approvato a suo tempo nel “palazzo”, ma ormai completamente stravolto dalla vita reale.
di Marco Buselli