La decisione presa dal governo italiano, decisione che personalmente condivido, di sospendere le lezioni nelle scuole di ogni ordine e grado, sta generando grande preoccupazione tra dirigenti, docenti, famiglie degli studenti.
Poco importa se, al momento, le attività didattiche sono sospese solamente fino alla metà di marzo, vale a dire per nove giorni effettivi, tolte le domeniche. Si teme, forse a ragione, che la sospensione verrà prolungata e, di conseguenza, si valutano diverse ipotesi per recuperare le settimane perse – prolungare la durata dell’anno scolastico, andare a scuola durante le vacanze di Pasqua –, ci si attiva con lezioni a distanza, si assegnano i compiti a casa per mezzo dei social. Non sono pochi quelli che parlano di uno stato di emergenza della scuola. Tra questi non ci sono io, e non ci sarò nemmeno nel caso in cui le lezioni non riprendessero prima degli inizi di aprile.
A essere in emergenza sono le persone malate e i loro familiari, medici e infermieri, chi deve garantire il rispetto dei divieti nelle zone rosse, i genitori che lavorano e che non hanno chi possa guardare i loro figli piccoli, chi ha un’azienda o un’attività privata, chi opera nel mondo dello spettacolo. La scuola non è in emergenza, di sicuro non lo è la scuola secondaria superiore, che è quella che conosco meglio. Certamente ci sono e ci saranno dei disagi. Sarà difficile, ad esempio, poter disporre, per valutare lo studente, del consueto numero di verifiche. Queste, poi, si concentreranno per tutte le materie nello stesso periodo anziché distribuirsi con un po’ di criterio.
I programmi, infine, verranno svolti solamente in parte, e qualche collega già è colto da ansia nel dubbio se assegnare agli alunni nei mesi estivi lo studio autonomo delle funzioni, del Romanticismo italiano, di Kant, degli storiografi greci, degli elegiaci latini, dei verbi irregolari, oppure prevedere fin da ora dei recuperi pomeridiani nei mesi di settembre e ottobre per trattare gli argomenti che non si sono potuti affrontare. E dei ragazzi chiamati a sostenere l’esame di Stato a giugno (a luglio?) che ne sarà? È di tutta evidenza che il Ministero – e lo dico io che sono stato spesso critico nei confronti del dicastero di Viale Trastevere – terrà conto dell’eccezionalità della situazione, a partire già dalla prima e dalla seconda prova scritta che gli studenti saranno chiamati ad affrontare. Per gli altri, vale a dire per chi ha quattordici, sedici, diciassette anni, mi auguro che questi giorni liberi dalla scuola al mattino siano l’occasione per riappropriarsi del loro tempo.
Nessuna generazione, infatti, più di quella attuale, ha avuto giornate scandite da così tanti impegni, attività, compiti, scadenze. In questa agenda, le cui pagine appaiono tutte scritte e riempite, – l’immagine è di Claudio Magris – ora inaspettatamente si mostrano delle pagine bianche. Ragazzi, mi rivolgo a voi, fatene buon uso. Non trascorrete le mattine stando continuamente connessi, comunicando con gli amici coi social, giocando ai video games. Se avete avuto dei buoni insegnanti, sapete da soli, senza che nessuno ve lo debba dire, che è bene ogni tanto fare una versione, vedere un film in lingua inglese, provare a risolvere un esercizio di matematica, per non perdere l’abitudine, per non perdere l’allenamento. Soprattutto, però, state con voi stessi, state presso voi stessi. Pensate, fantasticate, progettate, scendete in quelli che Carl Gustav Jung chiama “i sotterranei dell’anima”. Fermatevi, riscoprite il piacere dei tempi lunghi, dei tempi lenti, dei tempi morti. Sono questi che consentono allo sguardo di passare dall’esterno all’interno, di posarsi non su ciò che accade fuori di voi, ma su ciò che ha luogo dentro di voi. E leggete, leggete poesie e leggete soprattutto romanzi. Non solamente per scoprire percorsi fantastici o per vivere, attraverso le vicende dei personaggi, vite che non sono le vostre. Leggete per incontrare l’uomo, per fare esperienza dell’uomo. Perché la condizione umana costituisce il vero oggetto della letteratura, della buona letteratura. Leggendo, conosciamo il dolore e la gioia, la solitudine e la solidarietà. Apprendiamo l’alfabeto emotivo, l’alfabeto sentimentale. A quel punto non siamo più estranei a noi stessi né gli altri ci sono estranei: la loro sofferenza, al pari della loro felicità, mi parla e mi parla perché io ora ho i mezzi per riconoscerla. Leggere non è solo un piacere. A volte diviene un atto morale, che non salva il mondo, certo, ma che ci fa restare uomini. E ciò conta molto più di un programma scolastico completato, integralmente svolto, firmato, riposto dentro una cartellina di un polveroso archivio.