Prosegue il nostro viaggio di incontro con i candidati a sindaco che si sfideranno a Siena nelle prossime amministrative nel maggio prossimo. Dopo Luigi De Mossi, abbiamo incontrato Pierluigi Piccini, già sindaco negli anni ’90. Lo incontriamo in centro città, in un ufficio che, nonostante spoglio di artifici e formalismi, sembra essere un quartier generale, tanta è la vivacità mista all’austerità dell’uomo
Piccini è stato il primo sindaco di Siena a elezione diretta, ma anche l’ultimo del vecchio corso, quando a novembre del 1990 subentrando a Vittorio Mazzoni della Stella riportò la poltrona di primo cittadino della città del Palio al Partito Comunista, al quale mancava dai tempi di Luciano Mencaraglia dal 1969. Poi la legge n. 81 del 1993 introdusse il sistema maggioritario, tutt’oggi in vigore, per l’elezione diretta del sindaco, ed il meccanismo di collegamento tra liste e candidati alla carica di primo cittadino. Il sistema è maggioritario perché si basa su un meccanismo semplice: a chi vince viene attribuito il 60% dei seggi. Le coalizioni di liste devono essere dichiarate prima della votazione.
All’eventuale ballottaggio non è possibile cambiare la coalizione ma la si può allargare, concedendo la possibilità alle liste ancora non schierate di farlo con l’una o l’altra aggregazione: infatti estendendo l’area di consenso del vincitore, lo si svincola ulteriormente dalla sua area di appartenenza, per renderlo responsabile anche di fronte ad altri cittadini più lontani dalle sue posizioni politiche e di cui il neoeletto dovrà necessariamente tenerne conto. Piccini che è stato sindaco per due mandati, fino al 2001, conosce bene lo spirito che sottintende il maggioritario, che ha reso stabile il sistema amministrativo comunale ed ha assecondato le nuove tendenze di aggregazione politica che si ebbero a partire dall’inizio degli anni Novanta, quando i corpi elettorali iniziarono a sganciarsi dai regimi ideologici di appartenenza, in funzione di nuove forme di consenso, aventi a che fare con percezioni marcatamente relative alla sfera individuale o alle influenze della pubblica opinione.
Piccini come si presenta oggi Siena?
“Siena è una delle più importanti città d’Italia. Oggi è una città ferma, che ha bisogno di interventi infrastrutturali, all’interno di una visione organica e di progetti integrati. Ma prima di tutto ha bisogno di recuperare consapevolezza e orgoglio. Di tornare a specchiarsi e vedersi grande. Di una squadra civica che voglia riportarla in serie A, tra le grandi città d’Europa. E naturalmente, questa squadra ha bisogno di un bravo direttore d’orchestra”.
Tutto sembra fermo a prima della crisi economica, con la ricerca delle risorse che appare un problema prioritario.
“Le risorse sono il problema di chi non vuole risolvere i problemi. Gli strumenti per intercettarle ci sono: ad esempio le società pubbliche che producono surplus nella sosta e nella mobilità. Ci sono i fondi di investimenti. La realtà è che Siena non ha progetti appaltabili pronti. Le risorse servono a trasformare le idee in realtà. Se non ci sono idee, progetti, cosa trasformiamo in realtà? Siamo in ritardo con il piano operativo, con quello della mobilità. Così succede che al momento in cui arrivano risorse finalizzate, tipo quelle per le periferie, bisogna correre per prendere quei pochi progetti pronti e usarli. Siena ha bisogno di un book di progetti predisposti, all’interno di una visione organica del futuro di città”.
Lei ha parlato di cultura che deve diventare una condizione essenziale per lo sviluppo della città. Perché, oggi non lo è?
“C’è una impostazione sbagliata della concezione dell’arte e della bellezza in riferimento allo sviluppo del territorio. E l’impostazione sbagliata la paga la città. La vocazione di Siena è la formazione, nel campo dell’arte, della musica, delle eccellenze in grado di esprimere l’Università, mentre l’esposizione della cultura deve puntare a valorizzare la città, non a fare solo da bancomat. C’è bisogno di attirare viaggiatori, non turisti. Il rapporto dei senesi con la cultura è profondo, fa parte della nostra identità”.
Lei si candida a Sindaco da solo, ma sta anche lavorando per il ballottaggio, con chi si apparenterebbe ?
“Io mi candido a Sindaco di una grande città con più compagnia di tutti gli altri. Con Alessia, Stefania e Marta, giovanissime senesi che in questi mesi stanno animando un esperimento meraviglioso che si chiama SpazioSiena, un progetto di democrazia e cultura partecipata, che ha raccolto 400 persone solo nel tardo pomeriggio della sua inaugurazione. Certamente non mi sento solo. Io sto lavorando per vincere al primo turno. Chi lavora per il secondo sono altri, come quelli del Listone, pronti a dividersi al secondo turno e a giocare la propria partita in funzione subalterna. Ma parlare di loro un minuto vuol dire non dedicare un minuto ai problemi di Siena, e non possiamo permettercelo”.
Il civismo in questa fase è il terreno di confronto di chi vuole rappresentare nell’opinione pubblica l’idea concretizzabile di governo alternativo e del cambiamento. Oltre al listone che citava, nel campo civico c’è anche De Mossi.
“Civico è chi non si affianca a partiti politici. De Mossi non può continuare a sventolare la patente di civista puro perché farà, ormai è chiaro, da copertura allo schieramento partitico di centrodestra”.
Valentini ha avuto la zavorra iniziale di bilanci ridotti all’osso. Siena usciva da un periodo di commissariamento ed ora vorrebbe il secondo mandato per lasciare un segno che non sia solo quello della transizione, dell’emergenza.
“Per esperienza, quando un sindaco parla di bilanci, vuol dire che non può parlare di altro. Non può parlare di nuovi investimenti, di cultura, di crescita. Valentini ha espresso il massimo di quello che poteva esprimere: ha dimostrato di poter affrontare una emergenza ma anche di non avere una visione dello sviluppo strategico della città. E non avendo un progetto chiaro, cosa potrebbe proporre per il secondo mandato? Sarebbero altri cinque anni persi. Inoltre, il suo problema è che non si è mai integrato con Siena: Bruno Valentini fa fatica a capirne i codici interpretativi”.
Lei ha detto della giustizia paliesca che non funziona, in che senso?
“Le regole ci sono, ma i comportamenti di chi le applica sono da rivedere perché bisogna applicare un criterio di coerenza e giustizia”.
Il Palio rappresenta per Siena un forte elemento di identificazione e di immagine.
“Il Palio nel tempo è diventato l’unico elemento di immagine della città e questo non serve né al Palio e nemmeno a Siena. Questo oltre ad impoverire il valore storico rappresenta anche un errore di marketing territoriale. Siena è un grande brand internazionale, il Palio è un pezzo di un mosaico meraviglioso che deve essere tutelato interamente”.
Sul Monte dei Paschi è stato detto tutto o c’è ancora da raccontare?
“Per uscire dalla crisi il Monte dei Paschi ha davanti ancora un percorso lungo e non semplice da affrontare. Lo Stato e i cittadini italiani devono continuare a fare la loro parte. In ogni caso non è più una storia senese. Oggi la banca è pubblica, è vero, ma tutti sappiamo che l’intervento pubblico è a termine. Quindi, inevitabilmente, si apriranno altri scenari”.
Ha denunciato il “preoccupante declino del sistema sanitario senese”.
“Nel momento in cui l’università perde parti di alta specializzazione, l’ospedale diventa come tanti altri. Questo è un problema politico che bisogna affrontare nel rapporto con la Regione che deve investire. La città sta perdendo la sua centralità”.
Questa perdita di centralità è anche rispetto al suo territorio provinciale ?
“Sul territorio c’è tanta qualità, ci sono realtà interessanti che meritano di essere valorizzate attraverso dei rapporti di collaborazione, mentre oggi non c’è dialogo e questo è un problema serio. Prenda ad esempio la questione della chiusura dell’Enoteca Italiana, che deve essere recuperata anche solo per un rapporto con il territorio per il quale si richiede che Sian diventi una vetrina internazionale. Si parla pur sempre di un territorio che esprime realtà di eccellenza quali il Brunello di Montalcino, il Nobile di Montepulciano, il Chianti e prodotti di agroalimentare che ci invidiano in tutto il mondo”.