Quando mi imbatto in libri come “Leonardo non era vegetariano” penso alla frase del film “Forrest Gump”: «La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita». E’ così anche per i libri, finché non ci passi del tempo insieme, non li percorri da cima a fondo come la strada di casa, non puoi sapere veramente cosa contengono, a che punto è la sorpresa che te li farà apprezzare completamente o abbandonare all’istante. Di questo volume così difficile da classificare (non è testo di arte, storico o biografico, non è un ricettario né un libro di cucina eppure è tutte queste cose insieme) e così adatto a esprimere i temi di Expo, inizialmente mi ha colpito il titolo, perché su Leonardo è stato scritto davvero molto e ancora si scriverà, visto che le sorprese che questo extraterrestre – mica vi sembrerà umano uno come Leonardo da Vinci, vero? – ci ha lasciato non sono state esaminate tutte, ma su quello che mangiava e quello che pensava del cibo nessuno aveva finora “prodotto” con tanta precisione e completezza.
Poi mi ha incuriosito il contenuto strettamente gastronomico, perché a corredare l’analisi minuziosa firmata da Alessandro Vezzosi e Agnese Sabato ci sono le ricette realizzate da Enrico Panero partendo dagli studi sul rapporto fra Leonardo e il cibo del suo tempo. E sono talmente accattivanti da costituire una gioia per gli occhi e una sfida irresistibile per il palato. Mescolano tradizione e modernità, gli ingredienti della gastronomia rinascimentale italiana con le tecniche dell’Oriente per raggiungere un risultato dove la semplicità sembra scontata ma davvero non lo è. Un esempio? L’inzimino di baccalà in tempura. Panero correda la ricetta con una breve nota esplicativa di come ha fatto a trasformare un piatto tipico della tradizione fiorentina – il pesce in inzimino – in qualcosa di nuovo, altrettanto appetitoso, ma molto più vicino ai gusti contemporanei. Insomma, una vera festa. Credo che, fatte le dovute proporzioni, questo criterio dovrebbe essere anche quello che anima le rievocazioni in costume rinascimentale dove ci si fregia di fornire ai commensali piatti in stile. Non ho certo la pretesa di aver mangiato in tutte, sono troppe, ma a quelle dove sono stata, a volte ho avuto l’impressione che lo “stile rinascimentale” fosse solo nel nome o preso troppo alla lettera, condizione quest’ultima che sfociava in eccessi di condimento duri da dimenticare. E’ vero che Panero è un grande chef, ma perché in queste rievocazioni non ispirarsi alla sua filosofia che sa di rigore filologico nella scelta delle materie prime e rigore tecnico nell’esecuzione delle ricette con un pizzico di moderna rivisitazione?
La summa di questo pensiero gastronomico è nell’ultima ricetta proposta, “Il viaggio di Leonardo”, dove l’ossobuco della tradizione che ricorda gli anni milanesi del genio vinciano è reinterpretato con un trancio di rana pescatrice, il risotto che lo accompagna è alla milanese però lo zafferano è quello di San Gimignano e la zuppetta di pesce su cui viene adagiato il tutto è un classico provenzale, terra dove Leonardo è passato spesso durante i suoi anni francesi.
Il volume (edito da Maschietto) contiene anche la benedizione di Oscar Farinetti, l’imprimatur di Davide Paolini e il sigillo di Cristina Acidini, rispettivamente autori di prefazione, introduzione e postfazione, quest’ultima da leggere lentamente come si gusta un grande distillato o un vino da meditazione. Perché questo è l’esegesi dell’iconografia de “L’ultima cena” di Leonardo firmata dalla storica dell’arte, un piacevole distillato di sapere al sapore rinascimentale.
LA RICETTA Le quindici proposte di Panero sono una più invitante dell’altra e l’imbarazzo nel riproporne una a dispetto delle altre è forte. Ho scelto la prima che ho provato (mi sembrava la più facile) anche perché è quella che, nella realizzazione di Panero non nella mia, ricorda meglio l’attività di Leonardo come pittore. Non per nulla si chiama “Lingua a colori”. In una pentola capiente fate bollire a fuoco basso per circa due ore una lingua di manzo da 500 grammi insieme a un sedano, due carote e due cipolle rosse. Lasciate raffreddare la lingua, spellatela e ricavate quattro cubi per porzione. Ungete un peperone giallo e uno rosso e arrostiteli interi in forno a 200° per 15 minuti quindi spellateli e tagliateli a cubetti piuttosto piccoli. Frullate i ritagli con olio evo e sale così da ottenere una salsa gialla e una rossa per guarnire il piatto. In una piccola casseruola unite 100 grammi di latte a 50 grammi di acciughe dissalate e cuocete a fiamma bassa fino a ridurre la crema che si formerà di due terzi e lasciate raffreddare. Prendete le foglie di un mazzetto di prezzemolo, sbollentatele per 1 minuto quindi raffreddatele in acqua e ghiaccio e poi frullatele con olio evo e un cucchiaio di acqua gelida fino a ottenere una crema densa e liscia. A questo punto affettate le cipolle a losanghe, saltatele in padella con un filo di olio evo e sfumate con aceto rosso di vino. Fate raffreddare. Se siete arrivati indenni fino qui, siete pronti per impattare. Tirate fuori il pittore che è in voi e sbizzarritevi: cominciate a “macchiare” il piatto con le salse gialla e rossa di peperone e verde di prezzemolo, disponete la lingua nel piatto sopra i disegni con le salse e guarnite con i peperoni a cubetti, la cipolla a losanghe e condite con la riduzione di acciughe. Il piatto di Panero fotografato fa pensare più a un quadro di Pollock che a uno di Leonardo, ma sempre di pittori si parla.