Pubblichiamo l’intervento di Gianni Resti, assessore alla cultura della Provicia di Siena negli anni ’90 ed esponente politico di centro sinistra. La sua è una dura replica a Simone Bezzini, presidente della Provincia di Siena dal 2009 al 2014 e oggi consigliere regionale del Pd, che qualche giorno fa in una intervista a La Nazione Siena aveva sostenuto che su Mps «non fu solo colpa della politica senese» e che «ci furono ambienti, fuori e dentro il Pd, più bravi a camuffarsi di fronte alle responsabilità». Questo intervento dimostra, casomai ce ne fosse bisogno, che il rapporto Mps e politica non può facilmente archiviarsi con una intervista nè con l’italico metodo dello scaricabarile. Ma richiede ancora molti chiarimenti da parte di coloro che furono i protagonisti di quella stagione. Chiarimenti che ancora non arrivano, purtroppo [N.D.R.].
di Gianni Resti
«Fra gli articoli pubblicati in questi giorni sulle pagine de La Nazione Siena intorno alla salvezza e al futuro della banca Monte dei Paschi, spicca per pochezza di contenuti, equilibrismo politico e scarso coraggio intellettuale, l’intervista al penultimo presidente della Provincia di Siena. Conosco da anni Simone Bezzini e mi sarei aspettato da lui una riflessione più profonda, libera e meno legata alla rappresentanza di una parte del partito al quale egli appartiene.
Di fronte alle scelte politiche compiute pochi anni fa, palesemente responsabili della successiva disintegrazione del patrimonio economico e della potenza finanziaria della banca Mps, non è corretto schivare le responsabilità e rifugiarsi in banali colpe generiche e in metaforiche bacchettate pedagogiche che comunque non riescono a velare il fine partitico di salvare capra e cavoli. Simone sa benissimo che sulla pluriennale vicenda Mps esistono responsabilità politiche e morali da parte di coloro che promossero e condivisero allora un buon numero di nomine importanti. Nominati e promossi che in una fase matura del loro incarico pro tempore, agirono allora a livello di responsabilità istituzionale e tecnica in maniera sconsiderata per interessi di cui non mi è dato sapere, ma che posso supporre e considerare probabilmente viziati anche da presunzione, supponenza e voglia di carrierismo personale.
La discontinuità di cui si parla nell’intervista è tarda, è di ordine tecnico e non riguarda solo l’ambito politico. Sicuramente hanno concorso al disastro bancario varie cause, come la scarsa vigilanza da parte di chi doveva analizzare i documenti ed i bilanci e l’insorgere della crisi economica europea. Ma le scelte compiute maldestramente anni fa sono state condivise allora a Siena, a Roma e forse anche in altri luoghi e ambienti che posso immaginare. Da uomo ancora di centro sinistra posso anche dire che le forze di opposizione locali e nazionali non ha fatto il loro dovere e mestiere critico per convenienze politiche e personali frequenti a Siena come in altre realtà del Paese. Ma non è corretto non chiamare alle proprie responsabilità la forza politica che sotto nomi e fasi temporali e politiche diverse, governa a piene mani e ininterrottamente da tre quarti di secolo Siena e i suoi dintorni.
Troppo facile approfittare della scarsa capacità di conoscenza, di reazione e di indignazione della maggioranza dei senesi, silenziosi anche di fronte al processo di impoverimento finanziario di uno dei beni economici più importanti della città, della regione, del Paese. Di fronte a ciò che ho visto nell’ultimo periodo della vita della città, non possono bastare le bacchettate o le riflessioni fra i soliti addetti ai lavori. Si è classe dirigente soprattutto nelle avversità, nell’ammettere le proprie responsabilità e nel cogliere anche il momento di lasciare, di accettare e di non ostacolare il cambiamento e di non pensare che l’impegno politico personale possa e debba durare una vita intera».
Intervento pubblicato su La Nazione Siena del 05 agosto 2016