Ho vissuto più di quanto abbia potuto scrivere e ricordare.
Comincia così, con parole che sono una prova di umiltà, il libro di memorie del grande Francisco Coloane, scrittore per nostalgia, cantore di terre e mari australi che davvero costituiscono un altrove, il suo altrove.
“Una vita alla fine del mondo” (Guanda) non è la solita autobiografia che ci lascia un autore affermato. Le parti che contano meno sono quelle che raccontano gli esordi letterari, i lavori e le conoscenze a Buenos Aires, i primi riconoscimenti. Qui c’è soprattutto la storia di un uomo che nel mondo alla fine del mondo, giù, in fondo alle Americhe, ha trovato se stesso.
I sogni di un ragazzo che per cercare se stesso scelse l’estremo sud, anzichè il nord che pare essere la meta di ogni migrante. Le tempeste di una natura che giganteggia e da cui non puoi mai prescindere. I silenzi e le storie raccontate sulla tolda di una nave o al fuoco di un caminetto. Le tragedie consumate anche in queste terre rarefatte, dove pare ci possa essere posto per tutti. E il continuo ritorno, per quante volte la vita abbia provato a portarlo lontano.
E’ in questa terra sempre spazzata dal vento che si può comprendere quanto possono essere profonde e tenaci le radici dell’uomo. E quanto possa essere irresistibile – e misteriosa – una vocazione che si fa scrittura.