di Simone Petricci

Simone Petricci
Simone Petricci

L’intervento di Roberto De Vivo sul rinnovamento del gruppo dirigente e di amministratori in città pubblicato nei giorni scorsi su La Nazione [e anche su agenziaimpress.it leggi N.d.r.] a seguito delle riflessioni fatte da Vittorio Mazzoni della Stella (leggi)qualche giorno fa è molto stimolante. Roberto ha individuato alcune delle ragioni che hanno comportato nell’ultimo decennio un vuoto generazionale di potenziali amministratori in città ed il mancato ricambio che ha caratterizzato la politica. Potrei integrarlo con altre valutazioni derivanti dall’esperienza diretta di militante nella principale componente coofondativa del Pd, i Democratici di Sinistra, dove si sono consolidate modalità gestionali poi riproposte all’interno dello stesso Partito Democratico.

Mancanza di una attività formativa tradizionale che il partito svolgeva nel passato per i propri quadri dirigenti. Interruzione del trasferimento di competenze basato su un confronto leale e costruttivo fra vecchie e nuove generazioni. Eccessiva centralità decisionale appannaggio di un cenacolo ristretto di dirigenti. Subalternità del gruppo dirigente diffuso relegato alla mera funzione di braccio operativo e di ratificatore di scelte calate dall’alto senza che fossero forniti sufficienti elementi di valutazione utili a comprenderne l’effetto e la portata. Il sistematico contenimento delle voci critiche o dissonanti che si sviluppavano all’interno seppure con spirito costruttivo. Indifferenza o sospetto nei confronti di soggetti qualificati che si sono iscritti al Partito con l’intenzione di portare un contributo di idee rimaste spesso inascoltate. Una selezione dei dirigenti e degli amministratori non sempre basato sul riconoscimento delle professionalità, del merito, delle competenze, dell’impegno profuso all’interno del Partito, del consenso ricevuto, semmai sulla fedeltà e l’allineamento. Progressiva attenuazione dei processi partecipativi ed inclusivi. Una gestione funzionale dei percorsi congressuali centrati sul rapporto di forza per il mantenimento del controllo del Partito piuttosto che sulla analisi e prospettiva politica.
Questi sono solo alcune delle principali ragioni che hanno impedito la crescita, lo sviluppo e l’affermazione di un nuovo gruppo dirigente all’interno almeno di quel partito, saldamente controllato per anni da una cerchia ristrettissima riunita attorno alla figura del segretario dominus.

Ebbene, ammetto che come iscritto mai chiamato a condividere decisioni rilevanti e strategiche con un ruolo determinante, sono stato vittima di questi processi anche assecondandoli dentro logiche omologanti di maggioranza che ho accettato, anche quando ero in disaccordo, pur avanzando all’interno degli organismi deputati perplessità sempre mal tollerate dall’apparato.

Tuttavia, questo clima così limitante per i portatori di un contributo sano era ben congegnato e perorato da soggetti molto autoritari, ma almeno capaci di esercitare la guida del Partito. Cosa che non mi pare accada negli ultimi anni dentro il Pd. Ma un atteggiamento del genere poteva essere tollerato quando il Partito era rispettato e aveva in mano (in forma diretta o derivata) le redini dei centri di potere economico e politico amministrativo di questa realtà, incluso il controllo rigoroso di gran parte della forza lavoro che in tali contesti era impiegata. E quando le risorse erano ancora presenti e venivano distribuite in città in maniera diffusa per alimentare una certa coesione sociale. Quando la drammaticità dei recenti problemi non era emersa in tutto il suo impeto. In un clima che pur poggiando su una pratica scientifica di redistribuzione che finiva per accontentare un po’ tutti, faceva tollerare il mancato ricambio della classe dirigente cittadina e permetteva la cristallizzazione del potere attorno ad una oligarchia di pochi che comunque rappresentava un punto di riferimento autorevole.

Oggi, in un contesto socioeconomico così mutato, con la consistente riduzione della presenza della politica (e dei politici) all’interno dei punti nevralgici delle istituzioni cittadine e con un Pd erede più dei vizi che delle virtù del vecchio sistema politico e soprattutto additato come il principale responsabile dei problemi che stanno affliggendo la città e la provincia, non è più pensabile che il partito possa esercitare il controllo e l’attrazione di un tempo. Soprattutto se siamo di fronte ad un Pd senese e provinciale privo di un gruppo dirigente autorevole e all’altezza di gestire processi così complessi. Un partito della città e della provincia debole, inconsistente, privo di nerbo, di relazioni forti a livello nazionale e regionale. Un partito che non ha nemmeno più le la struttura e l’articolazione del passato, che ha perso gli iscritti e addirittura le sedi fisiche ed è indebitato fino al collo. Che non è in grado di fare progettazione, di intercettare le problematiche, di ascoltare e di farsi interprete dei bisogni.

Nonostante le premesse poco incoraggianti continuo a considerare i Partiti l’unico contenitore dove sia possibile una elaborazione e la formazione di gruppi dirigenti e di amministratori. Forse, illudendomi, credo ancora ipotizzabile un cambio di marcia del Pd. Certo isolando il problema del contenzioso economico le cui responsabilità andranno individuate per intraprendere un’azione di risanamento che non gravi sulle spalle degli iscritti e futuri dirigenti.

Ma sul piano politico occorre un vero e proprio punto zero dal quale ripartire, anche nell’ottica dello sviluppo di un nuovo gruppo dirigente che deve essere intercettato fra le risorse migliori che la città offre a prescindere dal pregresso, dall’appartenenza, dalla cultura politica di provenienza. Perché diversamente, senza questa apertura non ci saranno mai i presupposti per un rinnovamento ed un cambiamento.

Serve, dunque, che l’attuale dirigenza del Pd sia meno tatticista, guardando ad una prospettiva nuova che sia di rottura non solo nelle parole, ma nei fatti, con i metodi adottati fino ad oggi. Finendola con le accuse e i litigi rispetto alle responsabilità pregresse. Partendo dalla valorizzazione interna delle tante persone per bene e competenti che non sono responsabili delle scelte compiute in passato. Dall’intercettazione di molte altre risorse cittadine che indipendentemente dall’iscrizione al partito, devono essere coinvolte attorno alla discussione di temi rilevanti e la costruzione di azioni concrete con l’unico fine di risollevare le sorti di questa realtà. Magari andando anche a contattare quelle tante professionalità senesi che si sono trasferite e affermate all’estero negli ambiti più disparati e che possono offrire un know how e una progettualità diversa. Serve andare a ricucire relazioni con il livello nazionale e regionale del partito per rivendicare un ruolo forte di questa realtà. Serve che le precedenti generazioni di buoni amministratori si mettano al servizio nell’accompagnare, sostenere senza doppi fini personalistici, il percorso di crescita delle nuove generazioni. Serve che sia ripristinato un meccanismo di selezione dei nuovi amministratori e dirigenti politici basato sulle competenze, le idee, l’impegno.

Serve, insomma, un impulso diverso dei dirigenti che tolga il Partito da questo torpore affinché, per ritornare al tema, si possa anche sperare nella creazione di un gruppo di nuovi amministratori e politici “non compromessi” che siano portatori di un riscatto che solo un contenitore partito può incubare senza improvvisazioni.

Tutto questo si dovrebbe verificare in tempi ristretti ancor prima della celebrazione del congresso, ma certo se ciò non accadrà, questi temi dovrebbero essere elemento centrale della discussione congressuale e degli assetti che ne deriveranno. Perché se il congresso divenisse solo una conta in prospettiva del riequilibrio dei rapporti interni di forza, di schemi e scenari già visti, allora si sarà persa per l’ennesima volta un’occasione importante di ripresa, forse l’ultima possibile di questa travagliata fase storica che il Pd può avere in città per riaffermare il primato della politica e del partito.

Se il Pd vorrà ancora essere forza di governo nel futuro non può ritardare oltre questo processo di radicale revisione, a meno che non voglia abdicare al suo ruolo, lasciando definitivamente campo ad un frammentario moto civico trasversale che pur circondato da incognite può legittimamente esercitare una suggestione verso un elettorato deluso e smarrito.