Problema: può una persona che piange al cinema aspirare a divenire critico cinematografico? O, se vogliamo dirla più seriamente, quali caratteristiche sono necessarie per esercitare questo mestiere che deve saper dosare, appunto, i raffinati strumenti dell’analisi critica senza rinunciare – si presume – agli aspetti emotivi, di godimento estetico, di identificazione rispetto alla storie che sullo schermo si vanno raccontando. Da questo punto di vista il lavoro del critico “militante” deve essere davvero improbo. Guai, infatti, se il suo ciglio inumidito (il suo coinvolgimento) annebbiasse troppo il giudizio sulla tecnica, sulla poetica, sulla valenza culturale e sociologica di un determinato film.
Nella storia della critica cinematografica chi forse è riuscito a dribblare gli ostacoli del caso sono stati i letterati che – come scrive Gian Piero Brunetta nel libro Gli intellettuali italiani e il cinema – possono essere considerati “un esercito di complemento che i direttori dei giornali chiamavano spesso in servizio per un atto di sfiducia culturale nei confronti dei critici di professione, ultimi arrivati sulla scena giornalistica, pensando così di nobilitare sia la rubrica sia l’oggetto”.
In effetti il letterato aveva il vantaggio di agire in nome di una sorta di immunità autoriale, rinunciare anche a intenti eccessivamente pedagogici. Divertirsi a cogliere (per lui la cosa più naturale) echi e debiti letterari di cui, magari, la pellicola risentiva. Oppure – è ancora Brunetta a farcelo notare – “sovrapporre o contrapporre alla poetica del film osservato una propria poetica cinematografica”. E’ il caso di Ennio Flaiano quando, nel 1945, recensendo Roma città aperta dice che “Rossellini si vieta di proposito ogni indagine lirica. Per lui due e due fa quattro in ogni caso, mentre per noi qualche volta fa cinque e persino tre”.
Così, nell’arco di un secolo, davvero ricco e talvolta imprevedibile è l’elenco di scrittori e intellettuali “prestati” alla critica cinematografica. Da ciò è anche spiegabile come nel cinema italiano si sia sviluppata una vera e propria interazione con la letteratura. E’ pur vero (lo evidenzia anche Vincenzo Cerami nei Consigli a un giovane scrittore) che la letteratura possiede una autonomia di linguaggio, comprensivo di tutte le convenzioni per renderlo autosufficiente ed evocante. Ma talvolta, chissà, il linguaggio della vista (che è poi quello del cinema) aiuta così tanto a raccontare il vero da renderlo splendidamente falso. E, perciò, oltremodo evocante anch’esso.