Hinault sullo Stelvio nel 1980

Mi hanno appena inviato una foto fantastica. Una di quelle che ti riportano al tempo delle mele e delle fragole. Risale al 1980, e in primo piano c’è Bernard Hinault, il mio ciclista preferito.

Ero suo tifoso da ragazzo, quando il mondo era più piccolo e il ciclismo si riduceva ad una faccenda tra noi, Francesi e Belgi. Con l’unica eccezione di un paio di Olandesi buoni per la pista, i soliti Svizzeri e due,tre Spagnoli ottimi in salita e scarsi in pianura. Stop.
Hinault (“Il Bretone”, diceva De Zan, ingigantendone il fascino) era il migliore di quegli anni lì: fine 70, inizi 80. Ed aveva la stessa, spiazzante superiorità che ammantava il grande Eddy Merckx… Lo “avvertivi” subito, anche come presenza fisica: in salita li sdraiava tutti, sul passo non lo batteva nessuno e a cronometro andava fortissimo. Non vinceva le volate solo perché non vi prendeva parte: perchè allora (più di adesso) il ciclismo era uno sport di povera gente, e un pezzo di pane doveva toccare a tutti… In questo, Merckx era un “cannibale”. Hinault, un galantuomo.
A questo meraviglioso campione, noi mettevamo di fronte quello che passava il convento… Che era comunque un signor convento, ma non bastava mai: Moser era più tipo da grandi classiche, e Saronni uno scattista nervoso, abilissimo negli sprint. Battaglin, Baronchelli e Visentini erano eccellenti corridori, ma non fuoriclasse. Hinault, invece, stava due spanne sopra. E nelle corse a tappe (dove si collauda il campione) non c’era trippa per gatti. Per trovarne uno capace di batterlo dovremo attendere l’americano Lemond e Laurent Fignon, che però troveranno un Hinault già nella fase discendente della carriera. Lemond era un levriero del Colorado, Fignon un biondino occhialuto, con la faccia antipatica del secchione di terza liceo. Hinault, invece, era maestoso e regale: quando ho scoperto che lo chiamavano “il Tasso” ci sono rimasto male…. Dovessi paragonarlo ad un animale, infatti, mi verrebbe in mente un leone.
La foto in questione risale al suo primo Giro d’Italia, nel 1980: che noi (da golosoni di sport quali eravamo) non perdevamo nemmeno una tappa, in tv. Fu un’edizione strana: stava per vincerla addirittura il povero Miro Panizza, uno che stava simpatico a tutti perché era alto poco più di uno e cinquanta e quando vestiva la maglia rosa dovevano ordinare la misura extra-small, quella dei bambini. Il piccolo Panizza ci illuse fino alla settimana finale (quella decisiva), alimentando qualche sbruffoneria di troppo: “Pfui, ‘sto campioncione Francese… Chissà cosa ci credevamo…”.
Poi arrivò lo Stelvio. E lì si capì chi fosse Bernard Hinault. “Il Bretone”.
Che fece pelo e contropelo a tutti, ed arrivò da solo. Gli resistè alla ruota solo un gregario, con la lingua di fuori; ma al quale concesse, cavallerescamente, la vittoria di tappa.
Ricordo che quando tagliò il traguardo, al bar ci fu un attimo di silenzio. Il vecchio Dino (che aveva seguito gli ultimi chilometri di montagna a bocca aperta) ebbe giusto la forza di sussurrare: “Forte così, ho visto solo Fausto”. Disse “Fausto”, e non “Coppi”. “Fausto”, perché lo conosceva davvero: E in tempo di guerra ci aveva persino condiviso il campo di prigionia, in Africa. Poi, gli ci scappò una lacrima.
Perché il ciclismo era, ed è, una roba forte.
E combina anche di questi scherzi.

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