In un tempo in cui sembra che non ce ne sia bisogno io oggi piango il mio maestro. Guido Parigi ha fatto l’ultimo scherzo e improvvisamente se n’è andato. Ha lasciato sua moglie Laura e i suoi tre amati figli, Francesca Letizia e Matteo ma ha lasciato anche una vasta schiera di colleghi amici e lettori. Anche molti giornalisti che ammettono di avere avuto da lui i primi rudimenti di un complicato mestiere. Io tra loro.
Cosa mi ha insegnato di preciso? Non saprei, nulla di tecnico o di teorico ma grazie a lui ho capito a maneggiare con cura le notizie, a verificare a costruire un racconto. Mi ha insegnato a non giudicare e a prendere le cose con una certa dose di leggerezza e ironia. E non mi pare poco.
La prima volta che lo incontrai a La Nazione me lo presentò Marco Bacchini, brucaiolo e grande appassionato di calcio dilettantistico. Stavano cercando un corrispondente da Rapolano per seguire le partite della prima squadra e Marco mi raccomandò. Raccomandazione di cui vado ancora oggi fiero. Purtroppo non era il calcio la mia passione e presto in redazione se ne accorsero. Cominciai a mandare pezzi di altro tipo.
Poi ci ritrovammo alla fine drgli anni Novanta a Il Campo, la redazione sopra la Costarella. Eravamo un gruppo di giovani, Orlando Pacchiani Lello Ginanneschi, Katiuscia Vaselli, Lorenzo Maffei, Andrea Marrucci, e Guido era il capobanda. Veniva a Siena 2 3 giorni alla settimana e il resto seguiva le vicende da Firenze ma sapeva tutto, conosceva tutti e non mancava un appuntamento importante in città. In quegli anni cominciò ad occuparsi anche di politica e il giornale diventò il luogo di incontro di tanti che si riconoscevano in una sinistra moderata e riformista. Ebbi modo così di conoscere tra gli altri Agostino D’Ercole, Gianni Resti, Luciano Peccianti.
Guido si divertiva a fare politica e fare strategie, si vedeva, ma non smise mai di fare il giornale come sempre aveva fatto, incazzandosi se c’era un errore, divertendosi per un titolo azzeccato, inventando continuamente come riempire le pagine vuote. Imparai il ritmo del settimanale, un ritmo che amo ancora perché permette alla notizia di respirare, di essere approfondita, comparata e analizzata. E in tempi di comunicazione rapida come quelli di oggi è una attività che manca. Non si possono capire le cose se non le mettiamo in relazione le une con le altre. Il settimanale serve anche a questo.
Nel tempo poi ci siamo incontrati tante altre volte. Per uno strano caso le ultime due volte, in agosto nella sua amata Castiglion della Pescaia, e in ottobre a Siena, per la presentazione di libri. Era tra il pubblico, io tra i relatori. E sempre ho avuto il piacevole privilegio di saperlo vicino a me, ad ascoltarmi. Ogni volta ci siamo salutati con affetto come se ci fossimo visti da pochi giorni pronti a rivederci nuovamente in redazione. Questa volta non sarà così. Per questo ti saluto ora, Guido, e provo ad abbracciarti e dirti grazie, come mai sono riuscito a fare.