Ho conosciuto pochissimi calciatori «trasversali». E per trasversali intendo quella specialissima categoria di campioni di fronte ai quali ci si toglie il cappello a prescindere e si dimenticano improvvisamente tifo e campanile.
Javier Zanetti è tra questi. In poca, ma qualificata compagnia. A memoria dico Scirea, Zoff, Roberto Baggio e, probabilmente, Paolo Maldini. Un altro trasversale potrebbe essere Marco Van Basten: ma lì, l’ammirazione incondizionata finisce per annacquarsi e si mescola ad un sentimento di umana compassione per una carriera che fu breve e tribolata.
Ed è particolare come questo fantastico campione abbia raggiunto questa trasversalità, incarnando in tutto e per tutto un Club non propriamente qualsiasi. L’ Inter di Massimo Moratti, ovvero il Club meno qualsiasi degli ultimi vent’anni. Il Club spendaccione per eccellenza e magari un pò «piangina». Quello dei calciatori bravi, lunatici e fuori dagli schemi (“pazza Inter, amala” recita l’inno ufficiale) , che vince gli scudetti del post calciopoli e mette in vetrina personaggi che tutto sono tranne che di una simpatia trasversale: gente come Materazzi, Mancini se non addirittura Mourinho, il primo capo ultrà travestito da allenatore.
Zanetti, invece, ha volato altissimo. Ha volato sopra le nostre teste con la fierezza di un’aquila. Ci ha costretti ad alzarla, la testa, come quando passa qualcosa di grande che ti sovrasta e ti lascia senza fiato. Lasciandoci giusto il tempo per lo stupore e per un applauso di meraviglia. Quando arrivò, nel 1995, sembrò il classico pacco dono del tipo «prendi due paghi uno». Quello scarso al seguito di quello bravo, come successe alla Fiorentina di tanti anni fa quando dal Monza arrivarono Monelli e Massaro. Spacciarono come il più bravo un tale Rambert, detto l’Avioncito, che passava per un centravanti di buonissime speranze. Il nuovo Ramon Diaz, spropositò qualcuno in vena di scherzi. Mentre Zanetti, con quella pettinatura, sembrava buono, al massimo, per fare la pubblicità alla lacca per i capelli. Vent’anni dopo, Rambert gestisce un chiosco-bar a Buenos Aires. Zanetti è diventato una leggenda. Come Giacinto Facchetti, al quale mi sento di accostarlo per quel senso etico (oltre che estetico) di interpretare il calcio. Non mi ricordo di Javier Zanetti atteggiamenti mai meno che ineccepibili (tranne un lontano litigio con Roy Hodgson, peraltro subito ricomposto). La sua attività benefica con la Fondazione Pupi ne fanno un esempio per tutti anche fuori dal campo. Dentro il campo è l’uomo dei più bei trionfi interisti, compreso il magico Triplete, l’impresa probabilmente più poderosa di sempre di tutto il calcio italiano (Mondiali esclusi, ovviamente). Fu lui ad alzare la coppa nel cielo di Madrid accompagnato dalle parole di un ispiratissimo Massimo Marianella di Sky. E quando chiesero a Ryan Giggs (ottocento partite con il Manchester United, ehm ehm…) quale fosse stato l’avversario più forte che avesse mai incontrato, il campione gallese non ebbe dubbi: Javier Zanetti, il capitano dell’Internazionale di Milano. Eccola, la trasversalità dei grandissimi. Il valore che ti viene riconosciuto dai propri tifosi ma anche e soprattutto dai tuoi avversari. E che avversari, aggiungo.
Non saprei che tipo di carriera aspetti adesso Javier Zanetti, Il Capitano. Quali mansioni gli spetteranno dietro quella scrivania che l’Inter gli ha riservato da tempo. Se mi consentite, sarà un bel banco di prova e un ottimo collaudo per verificare la presidenza Thohir che sta muovendo i primi passi. Direi addirittura che dal trattamento che verrà riservato a questo immenso campione si potrà intuire la qualità della dirigenza ed il grado di simpatia che potrà conquistare in Italia e nel mondo.
Perchè uno come Zanetti è patrimonio di tutti. Uno serio come Zanetti. Uno leale come Zanetti. Uno al di sopra di ogni sospetto come Zanetti. E cominciare mettendolo da una parte, non sarebbe un bel cominciare. Nel frattempo, grazie di tutto Capitano. Da un non interista.