Lo ammetto, non avevo previsto l’uscita di scena di Franco Ceccuzzi per via giudiziaria. Francamente occuparsi di politica dovrebbe significare occuparsi di idee, progetti, coerenza di azioni e programmi e, naturalmente, di uomini e donne. La Giustizia non dovrebbe entrarci. E, invece, questa volta è la Magistratura di Salerno a fermare la corsa politica di Ceccuzzi. E francamente dispiace.

È sul piano politico che si valuta un totus politicus come lui. E personalmente avevo più volte espresso le mie riserve e il mio giudizio sull’uomo che per quasi un ventennio ha dominato la politica a Siena. Oggi, purtroppo, la sua storia politica finisce in secondo piano rispetto a quella giudiziaria. È indagato in “associazione per delinquere finalizzata alla dissipazione”, con riferimento al patrimonio del pastificio Amato. Starà a lui dimostrarne l’estraneità. Auguri.

Del resto, in questi venti anni sono stati tanti i politici che hanno visto la propria carriera interrotta in ragione di vicende giudiziarie. E non sempre la parte politica da cui proviene Ceccuzzi seppe esprimere sincera solidarietà a colleghi che poi hanno dimostrato la loro innocenza. Quasi a non riuscire a comprendere l'ipotesi di avere a che fare con la Giustizia, forse per via di quella presunta "superiorità" morale che caratterizzò per molti anni la dirigenza Pci e poi Pds e Ds.

Ne ricordo una con profondo dolore, quella in cui incappò Ottaviano Del Turco. Provenienza socialista (era stato segretario generale aggiunto della Cgil insieme a Luciano Lama), poi fondatore, dopo qualche stagione nel tentativo vano di far rinascere il movimento socialista, del Partito Democratico. Come accaduto a molti dirigenti ed iscritti all’allora Psi, Del Turco aveva creduto in un nuovo partito in cui potessero confluire più storie e tradizioni culturali, compresa quella socialista.

Del Turco, da presidente della Regione Abruzzo, il 14 luglio 2008 finì in carcere con l’accusa di corruzione per via di (presunte) bustarelle nel settore sanitario. A distanza di cinque anni il processo in primo grado è ancora in corso e si attende una sentenza per la fine di questo 2013 (leggi). Cinque anni passati ad attendere un giudizio nella certezza della sua fine politica.

Nel frattempo, il Pd, allora guidato da Walter Veltroni, non aprì bocca per difenderlo, nemmeno per esprimergli una vaga solidarietà. Figurarsi per andare a trovarlo nel carcere di Sulmona dove rimase più di un mese. Niente di niente. Di fatto lo derubricò a “questione socialista”.

Egualmente ebbe ad esprimersi qualche anno dopo (luglio 2011) la presidente del Pd, Rosy Bindi,  nell’inchiesta che coinvolse il parlamentare Pd, Alberto Tedesco, sebbene fosse vicino a Massimo D’Alema. “Non permetterò ad un socialista di rovinare il Pd”, disse la garantista Bindi. Come a dire che si trattava di un mariuolo, una mela marcia, nel suo partito proprio in ragione della sua origine "socialista", a prescindere dalla sua reale colpevolezza. Era, insomma, già colpevole perchè socialista.
  
In quelle dichiarazioni non fatte come in quelle fatte, finì, a mio parere, anche l’esperienza del Partito Democratico, nato come laboratorio possibile per un movimento inclusivo di storie differenti provenienti dai secoli XIX e XX. E da quel momento, il Partito Democratico si candidò alla sconfitta perenne, quando non ebbe il coraggio di difendere un suo importante dirigente e quando accusò un suo deputato di appartenenza ad una storia politica diversa da quella comunista o democristiana (leggi).

Oggi come allora (e come tante altre volte in questi venti anni), la corsa politica di Franco Ceccuzzi si ferma qui. A causa di una vicenda giudiziaria. E non è giusto. A lui va la mia personale solidarietà e, sono convinto, quella di tanti socialisti.

La convinzione è che la sua candidatura doveva essere sconfitta sul piano politico, la sua uscita di scena doveva avvenire sul campo. E a metterlo da parte doveva essere il suo stesso partito che oggi, al contrario, lo ringrazia per il passo indietro e per “la grande generosità” (così il segretario provinciale, Niccolò Guicciardini, e quello regionale, Andrea Manciulli).

In questi mesi ho provato a raccontare perché non poteva essere lui il candidato più adatto a guidare la città in un momento tanto difficile e i tanti errori da lui commessi. Ma non è bastato. C’è voluta la Magistratura, purtroppo. E il vero sconfitto, oggi, non è Ceccuzzi che esce di scena ma questo Partito Democratico che parla quando dovrebbe stare zitto e rimane muto quando dovrebbe far sentire la propria voce. E che, magari, aspetta l'arrivo di un Magistrato per farsi togliere le castagne dal fuoco. Forse anche per questo il Pd di Pierluigi Bersani non è riuscito a vincere nemmeno a queste elezioni politiche 2013, già vinte alla vigilia.

“Sarà la città a dare un giudizio", conclude Ceccuzzi nel suo intervento di commiato. Avrei preferito che il giudizio lo avesse dato prima il suo partito, senza attendere quello della Magistratura che impiegherà anni. Comunque troppi.
 
Ah, s’io fosse fuoco

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