FIRENZE – Costi di produzione alle stelle per l’agricoltura toscana. Soprattutto per serre, stalle e agriturismi, e ora il rischio è di compromettere semine e produzioni importanti, mettendo a repentaglio tutta la filiera agroalimentare.
La fiammata dei beni energetici nelle ultime settimane, infatti – con quelli regolamentati che segnano una crescita record del 93,5% su base annua -, ha effetti diretti drammatici sulle imprese agricole.
A sottolinearlo è la Cia Agricoltori Italiani della Toscana, che ha incontrato in video conferenza, la vicepresidente Regione Toscana e assessore agricoltura Stefania Saccardi. All’ordine del giorno il caro prezzi di produzione che sta mettendo a rischio il futuro di molte filiere agricole, e il prezzo del latte bovino, sottopagato ai produttori, nonostante un protocollo nazionale firmato ma mai applicato il protocollo firmato.
I prezzi dei beni alimentari sono aumentati del 3,8% rispetto allo stesso periodo di un anno fa, con conseguenze immediate per i cittadini, trascinati però dagli aumenti enormi di acqua, elettricità e combustibili (+22,6%) e trasporti (+7,7%).
“Tutti rialzi che continuano a incidere fortemente sulla tenuta del settore agricolo e alimentare – sottolinea Luca Brunelli, presidente Cia Toscana – che necessita di molta energia per tutti i processi di produzione, trasformazione e conservazione dei prodotti. Senza contare che, in Italia, l’80% dei trasporti commerciali avviene su gomma, percentuale che però supera il 90% nel caso degli alimentari freschi. Per questo, ora più che mai, bisogna tenere alta l’attenzione lungo la catena del valore e della distribuzione, immaginando più risorse e misure strutturali contro il caro energia sui campi e lungo la filiera – sottolinea Brunelli – anche per scongiurare speculazioni sui prezzi al dettaglio che né le aziende né i consumatori possono accettare”.
“Il problema degli aumenti dei costi di produzione avvolge trasversalmente tutti o comparti produttivi agricoli. In provincia di Livorno – sottolinea Pierpaolo Pasquini, Cia Etruria – gli allevamenti bovini da latte stanno all’interno del palmo di una mano qualche allevamento in più riguarda gli ovini. Il fatto che siano rimasti pochi non vuoi dire che vanno abbandonati anzi vanno attenzionati per riuscire a farli rimanere. Sul comparto ortofrutticolo e del pomodoro da industria, il drastico ridimensionamento degli ettari coltivati è avvenuto negli ultimi 20 anni per problemi commerciali legati molto alla globalizzazione ed al cambiamento dei consumi.
In provincia di Livorno nel 2002 erano coltivati 600 ettari di spinaci adesso non si superano i 20 ettari; erano 400 gli ettari di carciofo adesso sono 100 ettari.
“Il colpo di grazia avverrà con l’aumento dei costi di produzione” aggiunge Pasquini. Sul pomodoro da industria emerge che nel 2022 ci vorranno 9.200 euro ad ettaro di costi di produzione, quindi, con il prezzo del 2021 ci vorranno circa 1.000 quintali ad ettaro per portare i conti in pareggio. “Si possono fare altri esempi come il melone in coltura semi-forzata con 20.000 euro ad ettaro – prosegue -. Da anni ritengo opportuno un tavolo di concertazione con la GDO, ma adesso è fondamentale. Non possono continuare a pregiarsi di favorire il prodotto toscano e pagarlo ai prezzi di altri areali italiani o del Nord Africa. Se poi si decide che è un settore da abbandonare bene gli agricoltori provvederanno ma bisogna dirgli cosa coltivare, altrimenti l’alternativa è l’abbandono con tutte le conseguenze che si possono immaginare”.
“Partendo dal problema del latte bovino – ha sottolinea il presidente di Cia Grosseto, Claudio Capecchi -, bisogna entrare anche nei comparti zootecnici come ovini, suini, bovini da carne e poi negli altri comparti, come la cerealicoltura che soffre di prezzi bassi nell’ultimo decennio – tranne il momento attuale -; oggi ci troviamo ad un aumento di costi della produzione del 30-40% superiore a quelli degli anni passati. I costi di produzione comprendono anche il settore vino, orticolo e anche l’agrituristico vista l’impennata dell’energia elettrica”.
“L’aumento dei costi di produzione – ha sottolineato Thomas Petrucci, Agia Cia Toscana -, colpisce praticamente tutti i settori dell’agricoltura e della zootecnia. Come allevatore di suini ho un costo di produzione di 1,80 euro al kg, i mercati oggi stanno crollando e mi porto a casa 1,40 euro/kg, ma è così per tutti gli altri settori zootecnici. Stiamo subendo un processo di inflazione generale, c’è necessità e obbligo di adeguamento dei prezzi della produzione primaria, così come è avvenuto per gli altri produttori di materie prime (plastiche, ferro, petrolio, metano) tutta questa inflazione dovrà investire anche i prezzi del settore primario, latte, carne, cereali e quindi che rispecchi l’andamento generale. Altrimenti, visto che eravamo in difficoltà già prima, così arriviamo ad un punto di non ritorno. Nel Nord Europa, già il 15% degli allevamenti di suini sta chiudendo per l’insostenibilità dei costi di produzione: se non invertiamo la rotta sarà così anche per l’Italia”.