Centinaia di immigrati, soprattutto profughi appena giunti dal Pakistan e da Paesi dell’Africa sub sahariana, sfruttati e sottopagati per lavorare in cinque aziende vitivinicole del Chianti. Gli stranieri sarebbero stati fatti lavorare in ciabatte anche a gennaio o vessati con punizioni corporali, pagati 4 euro all’ora per lavorare tutto il giorno (almeno 12 ore). E’ quanto è emerso da un’indagine condotta dalla Procura di Prato, da dove partiva gran parte dei profughi ospitati nelle strutture della città e dove stamattina sono state eseguite decine di perquisizioni con gli uomini della Digos, della Forestale e della Guardia di Finanza. Attualmente 12 persone sono indagate per associazione a delinquere (o per concorso esterno) finalizzata allo sfruttamento di lavoratori stranieri irregolari. Le aziende sarebbero state ignare del ‘giro’ messo in atto da un pakistano che reclutava i profughi a Prato.
Il reclutamento A reclutare i profughi per il lavoro nei campi del Chianti, secondo quanto emerso dalle indagini coordinate dal Sostituto Procuratore Antonio Sangermano, sarebbe stato un cittadino pakistano, assieme alla moglie. Gli immigrati venivano caricati su un furgone a Prato, in via Marx, alle 5.30 di ogni mattina. La Procura ha disposto videoriprese nei campi dove gli immigrati lavoravano e controlli sui camion per sostanziare l’ipotesi investigativa. Attualmente il cittadino pakistano aveva 115 persone assunte da una sua ditta e 50 persone assunte in una della moglie. Secondo gli investigatori tuttavia si tratterebbe di società fittizie, funzionali solo a fornire uno status di lavoratore ai profughi che – nei primi sessanta giorni sul territorio nazionale – non possono per legge essere titolari di contratti di lavoro. Il pakistano avrebbe quindi tratto il suo guadagno dalla cifra che le aziende vitivinicole, che sarebbero state ignare del ‘giro’, versavano per le paghe assegnate con valori stabiliti dai sindacati.