“Fior di giaggiolo, / gli angeli belli stanno a mille in cielo, / ma bello come lui ce n’è uno solo”. Così cantava mia madre per casa, certi giorni in cui l’intimità domestica la faceva contenta di quel poco di mondo. Lei che aveva voce da mezzosoprano, alla maniera di Lola che nella Cavalleria rusticana intona proprio quello stornello. Io ascoltavo, preso dalle assonanze, dalla fluidità delle parole ben poste di seguito per dire molto più di quel che dicono. Prodigio di una poesia popolare – o comunque, per osmosi e contaminazioni, fatta patrimonio di popolo – che soprattutto in Toscana può dirsi testimonianza letteraria. La questione l’aveva colta con acume Mario Luzi introducendo una riedizione dei Canti popolari toscani di Giovanni Giannini (Edikronos, 1981), allorché sottolineava l’oggettiva ambiguità del termine ‘popolare’ attribuito ad una produzione poetica nella quale non sappiamo in che misura il ‘rustico’ abbia attinto dalla cultura egemone e, viceversa, quanto il ‘letterario’ abbia trattato in maniera popolaresca spunti autentici di poesia provenienti dal suo opposto e primario universo. Ammesso – diceva sempre Luzi – che si fosse trattato di realtà veramente opposta e primaria rispetto a quella di ‘corte’.

Considerazioni in qualche modo anticipate pure da Pier Paolo Pasolini nel suo Canzoniere italiano (Guanda, 1955) che annotava come in Toscana, mancando una distinzione glottologica tra lingua e dialetto, “un cantante popolare e un poeta ‘culto’ usano la stessa langue, l’identica grammatica, gli identici termini strumentali”. Sicché – concludeva lo scrittore friulano – poesie che presentano aspetti formali, altrove negativi, di semi-popolarità, qui restano in effetti ‘popolari’; oltre ad essere prive di quella rozzezza e quell’ingenuità che caratterizzano di un sia pur infantile realismo i versi che si ascoltano in altre regioni.

Ma le suggestioni esercitate dal vasto repertorio della tradizione popolare non si limitano soltanto all’ambito letterario. Ad esempio la storia della musica attesta che molti sono gli autori ad avere subìto il fascino delle melodie di estrazione popolare. A partire dalle prime espressioni monodiche del canto liturgico fino alle Folk songs di Luciano Berio, passando per i corali di J. S. Bach, le danze ungheresi di Brahms, alcuni temi delle sinfonie di Mahler provenienti direttamente dai Café chantant. Tutti affascinati dalla sfida a rimodellare una materia sonora elementare (banale, direbbero alcuni), tanto semplice quanto perfetta.