SIENA – Eravamo alla vigilia di Messico’86, e il buon vecchio Nando Martellini sembrava perdere qualche colpo di troppo.
Il primo campanello d’allarme era suonato qualche mese prima, durante un’amichevole contro la Cecoslovacchia, con diversi nomi sbagliati e, soprattutto, il centravanti Altobelli che un paio di volte era diventato “Iacobelli”. Ricordo bene i sorrisi di sufficienza, i commenti imbarazzati che ne seguirono e qualche esagerato, che pretese addirittura le dimissioni dei responsabili dei palinsesti. Brutto da dirsi ma, secondo me, quelli della Rai presero la palla al balzo; e appena il Nando nazionale accusò uno scompenso cardiaco (per l’altitudine di Città Del Messico, dicono) non parve il vero di reimbarcarlo per l’Italia, con il primo aereo a disposizione.
Ma Nando Martellini rimaneva comunque un’icona: la voce di Italia-Germania all’Azteca e, soprattutto, dei “Campioni del Mondo” di quattro anni prima, e prenderne il posto non era una cosa da niente. Bruno Pizzul ci riuscì in pieno, e fu così bravo, per competenza, garbo e stile che quel timbro inconfondibile diventò la colonna sonora di una generazione, come i Duran Duran per quelli della mia età e gli 883 per quelli che sono venuti dopo.
Pizzul si prese quello che restava degli anni ottanta, tutti i novanta e un pezzo dei duemila: e lì dentro c’era veramente di tutto, a cominciare dalle “Notti magiche” di quel Mondiale ormai lontano che rimase anche il grande cruccio della sua carriera. Perché se Martellini (e Caressa) hanno avuto la fortuna di entrare nella Treccani e nei libri di storia, a lui rimase l’urlo strozzato in gola, proprio sul più bello: e i gol di Schillaci finirono presto nel dimenticatoio, come un brutto ricordo da rimuovere, che è meglio non tornarci sopra.
La stessa cosa di quattro anni dopo, con il rigore di Baggio a Pasadena. Ma lì, Pizzul era già diventato personaggio: “Non sei nessuno fino a quando Noschese non ti fa l’imitazione, nel Varietà del sabato sera” disse un giorno Andreotti. E anche Brunone presero ad imitarlo in parecchi, anzi non c’era cabarettista a Zelig o a mai dire gol che non avesse in repertorio la sua timbrica inconfondibile e il suo intercalare: “Dino-Roberto-Dino-Roberto”, “Giocano bene, questi”, fino al proverbiale “Tutto molto bello”, che diventò un tormentone.
Aveva 87 anni, il grande Bruno. Che è un’età dove si è indiscutibilmente vecchi ma dove c’è un sacco di gente che guida con disinvoltura l’automobile, che cura l’orto di casa e sa maneggiare dignitosamente un iphone. E anche Pizzul, a giudicare dalla verve (e dall’autoironia) in alcuni divertenti spot pubblicitari dimostrava ancora un eccellente smalto.
Poi, siccome noi italiani, alla fine, sappiamo essere anche gente perbene, ricordo quella bellissima petizione popolare prima della finale dell’Europeo 2021: “Fatela commentare a Bruno Pizzul”, proposero i telespettatori, e la cosa ebbe anche un certo successo fino a quando si mise in mezzo le regole, il sindacato, la burocrazia e non se ne fece di nulla… Fu lo stesso Pizzul, con la consueta eleganza, a tagliare la testa al toro. Schernendosi un pò, ringraziando per l’affetto ma convenendo che non era proprio il caso.
Eppure, con buona pace di Alberto Rimedio e di Stefano Bizzotto, sarebbe stata una figata galattica.
E perdemmo, secondo me, una bellissima, ancorchè romantica occasione.
Ti sia lieve la terra.