LUCCA – Non acustico, ma nemmeno elettrico. Non rock, ma nemmeno completamente blues. Tutto questo e molto di più. Bob Dylan a Lucca ha dato vita a un live che sicuramente non sarà facile scordare. Certo, lui empatico con il pubblico non lo è. Non lo è mai stato, ma in questa occasione dice perfino ‘grazie’ in italiano, quindi siamo di fronte a un guizzo di simpatia non da poco.

Erano circa 6mila le persone che hanno assistito all’esibizione lucchese del Premio Nobel che, 25 anni fa, dette il via al Lucca Summer Festival con il primo concerto in assoluto, sempre in piazza Napoleone.

Lui al pianoforte, con il cappello di ordinanza in testa, è stato accompagnato da musicisti di primissimo livello: insieme hanno dato vita a una magistrale prova musicale, dove il protagonista centrale è stato l’ultimo album pubblicato da Bob Dylan, ‘Rough and Rowdy Ways’.

Il palco è molto essenziale: un tendaggio alle spalle e ai lati che le luci colorano di rosso è tutto quello che serve a Bob Dylan per creare quell’atmosfera quasi intima con il pubblico.

Pubblico decisamente penalizzato rispetto a quello che vedeva: il pianoforte posto perpendicolarmente al palco, di fatto impediva la vista di Bob Dylan anche alle primissime file che, trovandosi in posizione più bassa rispetto al palco, vedevano solo la coda dello strumento e non chi lo suonava.

Ma, anche, pubblico molto disciplinato. Già si sapeva, ma potevano comunque esserci spettatori che non ne erano al corrente: il concerto di Bob Dylan prevedeva il ‘sequestro’ dello smartphone e il divieto assoluto di fare foto o video. All’ingresso, il telefono andava ‘a riposo’ all’interno di una custodia isolante che veniva sigillata e le hostess, peraltro gentilissime, spiegavano a ogni spettatore che, in qualsiasi momento, qualora ne avessero avuto necessità, sarebbero potuti ricorrere a loro per riavere accesso al proprio smartphone. Che, però, sarebbe tornato ‘a nanna’ al momento di rientrare nell’area del concerto. All’uscita, invece, le stesse sbloccavano la custodia che veniva poi messe dagli spettatori stessi, in contenitori posti alle transenne.

La disposizione dei musicisti, invece, era tale da ‘coprire’ la visione di Dylan dai posti più laterali della piazza.

Una scelta? Probabilmente sì. Del resto, Dylan è sempre stato schivo e poco propenso a farsi vedere, come testimonia il fatto che anche gli schermi a lato del palco, per lui e solo per lui, fossero spenti.

Ma questo, alla fine, è il contorno di un grande live, che si dipana canzone dopo canzone, su note sempre più dirette verso quel blues che è il protagonista dell’ultimo album dell’artista statunitense.

Bob Dylan è la dimostrazione che può bastare il carisma a fare spettacolo.

Quello che è andato in scena può decisamente essere catalogato come un salto nel passato, quando i concerti erano fatti solo per ascoltare musica e non per fare video, foto e selfie. Un qualcosa che forse ha spiazzato i più giovani, ma ha fatto tornare indietro nel tempo chi giovanissimo non lo è più e magari di concerti ne ha visti già parecchi.

E forse per qualcuno è stata l’occasione per (ri)scoprire come può essere divertente battere le mani a tempo di una canzone, invece di cercare l’inquadratura migliore con il proprio smartphone.

La chicca arriva all’ultimo brano in scaletta, ‘Every Grain of Sand’, quando Dylan prende l’armonica e, oltre al piano, suona anche questa, diventata oramai qualcosa di imprescindibile nei suoi live.