Roma (Avvenire) “Lina di Semola, lire cinque”. E’ l’annotazione che Millì, la proprietaria di un negozio di alimentari d’un borgo sperso tra le colline toscane in provincia di Pisa, riporta sulla lista dei nomi che hanno un debito con lei e che, per un motivo o per l’altro, non riescono mai a saldare. Lina non è la sola: ai “casalini” (decrepiti tuguri a mezza costa sempre sul punto di scivolare a valle), chi più chi meno vive della paziente misericordia della donna che dietro al bancone di quella bottega, dopo aver notato, volta pagina, non commenta, non sollecita, aspetta tempi migliori. Lina non è la sola: almeno un’altra decina di mogli, madri, figlie o nipoti, e altrettante famiglie con loro, campano giorno dopo giorno senza sapere cosa aspetta loro l’indomani. La miseria italica tra guerra e dopoguerra è stata narrata più volte: economista e scrittore, Gianni Manghetti ha dalla sua parte la conoscenza storico-pratica del mondo monetario e, insieme, la facoltà del romanziere di farne un racconto dal forte impatto simbolico. Piangono quasi sempre le povere donne di questo libro: “piangono senza piangere”, a ciglio arido, rinsecchito da anni di ribadita indigenza, di stringente malessere, di accatastate disgrazie. E se non è Lina, è Marianna, Concetta, Monica; se non càpita ad Adele capita ad Enza, alla Mutolina, a Melita. Paradossalmente le bambine giocano a regine, a comandare, a desiderare, a scegliere. “io comando alla mia mamma di non piangere più”. E’ un libro di donne, questo, di donne che hanno scelto di non contare, ma che dominano gli eventi; che hanno subìto gli sgarbi o il malanimo dei loro uomini ma che li vegliano e li sostengono; che hanno sopportato violenza fisica e psicologica senza esternare vendetta, o rabbia, o rivalsa. In quelle case (ma sono case, queste?), dove i venti entrano come coltelli, custodiscono il focarile (che non è solo il camino dell’unica stanza a disposizione); vedono figli morire, o figlie, o mariti, o fratelli; ingoiano desideri, pensieri, speranze; accudiscono la sacralità del vincolo, chiamano Dio a testimone dei loro lancinanti “perchè”; scortano di “Ave Marie” i nati dal loro ventre affidandoli alla pietà celeste dopo la propria. Sul ciglio della storia nazionale, intanto, passano i tempi delle elezioni del ’48, l’arrivo dell’acqua e, più tardi, del gas, circolano i primi motorini e le rarissime auto, giungono notizie che si assegnano case per davvero (nasce l’Ina e le sue miracolose distribuzioni di alloggi). Nel borgo qualcosa cambia, ma a prendere velocità più che il progresso sono le morti: una volta per Tbc, un’altra per incidente, un’altra ancora per malattie già innominabili. E sempre donne a testimoniare, a farsi sotto e non cedere mai, non imprecare, non perdersi: mettere il loro nome non solo sulle liste della spesa ma Altrove.
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