Un intervento pacato ma fermo. Analisi lucida della situazione non tanto dal punto di vista dell’impianto istituzionale (ai cittadini poco interessa), quanto del governo del territorio. Fabio Di Meo, già sindaco di Cetona (Si) dal 2009 al 2014 e oggi membro dell’assemblea nazionale del Pd, scrive un intervento in difesa della Province. Sacrificate dal “turbo riformismo renziano” di questi anni, sono state “salvate” dai cittadini il 4 dicembre scorso quando il No al Referendum le ha di fatto mantenute in Costituzione. Oggi, sono prive di rappresentanza diretta e senza risorse per svolgere compiti che nessun altro ente è in grado di fare: scuole secondarie, assetto del territorio, ambiente e caccia, strade, solo per citarne. Chi conosce bene queste cose sa che le vicende drammatiche delle settimane scorse con il terremoto e la neve in Centro Italia sarebbero state in parte attutite da Province efficaci e funzionanti. L’intervento di Di Meo riapre politicamente il dibattito, anche in questa zona della Toscana, Siena, Arezzo, Grosseto, dove le Province funzionavano dignitosamemte e dove perciò maggioremente si vedono a occhio nudo i guasti della riforma (avete presenti le buche e le interruzioni sulle strade provinciali?). Ottimo, dunque, il sasso lanciato, speriamo che il Pd in primis, che esprime la gran parte dei sindaci del territorio, ma anche i sindaci civici sappiano coglierne il senso. L’augurio, crediamo, non è il ripristino sic et simpliciter dei centri di potere di un tempo ma un salto in avanti verso la creazione di enti territoriali democraticamete e responsabilmente eletti, efficienti e pienamente funzionanti. Al servizio dei cittadini e delle imprese del territorio (M.T.).

di Fabio Di Meo

dimeo«Ma come si fa a lasciare un ente locale, riconosciuto dalla Costituzione, e con competenze e responsabilità importanti, senza risorse e dunque nell’impossibilità di svolgere il proprio ruolo? Si voleva dimostrare che le Province fossero sempre e ovunque inefficienti e inutili in vista del Referendum costituzionale che avrebbe dovuto cancellarle. Per questo lo Stato ha chiuso i rubinetti delle risorse, dopo aver approvato una legge che prevede un sistema di governo senza logica. Basti pensare alla mancanza di un organo esecutivo, con i Presidenti costretti a compiere in solitudine le scelte di governo.

Una volta che il No ha vinto nel referendum, Governo e Parlamento sono rimasti col cerino in mano. Anzi, a dire il vero con il cerino in mano sono rimasti i cittadini, i primi a rimetterci dalla situazione nella quale sono state condannate le Province: altro che lotta agli sprechi, questo è un taglio netto ai servizi pubblici sul territorio.

Gli ultimi eventi meteorologici del Centro Italia ci hanno mostrato quanto il nostro Paese sia fragile nelle sue zone rurali e montane, dove c’è bisogno di enti e amministratori locali che si occupino del territorio da vicino, non dal capoluogo di Regione, coordinando i piccoli Comuni negli interventi di Protezione Civile, predisponendo adeguati piani neve e con i necessari mezzi e risorse per farlo.

Sono fiducioso, perché noto una certa inversione di tendenza nell’opinione pubblica e anche nella classe politica. Forse stiamo prendendo coscienza che gli enti locali non sono rami d’azienda da razionalizzare, e che se cancelli enti importanti fai un danno ai cittadini non una guerra alle caste.

Intanto ora la priorità è dare alle Province le risorse necessarie per svolgere adeguatamente i compiti assegnati. Poi, bisognerà aprire un ragionamento serio rispetto all’elezione degli organi per i quali i cittadini devono tornare a dire direttamente la loro, e ad un nuovo assetto di competenze coerente con il fatto che il referendum le ha confermate come una parte dell’ordinamento istituzionale della nostra Repubblica».