VAL D’ORCIA – Alberto Asor Rosa ha legato indissolubilmente la sua vita a quella della Val d’Orcia. E lo ha fatto, a più riprese, per tre motivi essenziali: la scelta prima di trascorrere periodi di vacanza e poi di eleggere come ‘buen retiro’ un podere alle porte di Monticchiello, nel comune di Pienza; la nascita del Parco artistico, naturale e culturale della Val d’Orcia sul finire degli anni ’80 primi anni ’90, e la vicenda, più recente, del 2006, legata alla lottizzazione di alcune villette a schiera passate alle cronache come l’ecomostro di Monticchiello. Un legame di ‘odio e amore’ non sempre saldo e corrisposto quello tra il professore e la comunità locale ma che, è innegabile, ha contribuito ad elevare il livello culturale e antropologico del dibattito sul futuro di un territorio, quello della Val d’Orcia che, in tutta la sua bellezza e la sua unicità esisteva prima di Asor Rosa e continuerà ad esistere anche dopo la sua scomparsa. Anche grazie o nonostante (punti di vista) il suo contributo critico.
“La più grande speculazione edilizia nell’Italia centrale da un quarto di secolo”. Era il 1989 e dalle colonne di Repubblica Asor Rosa lanciò il suo attacco ad uno dei più bei paesaggi al mondo, il fondale della grande pittura senese. Un attacco ripreso il 25 febbraio 1989 dal settimanale Epoca che, in articolo a firma Enrico Menduni titolò ‘Cemento rosso’, chiamando in causa l’allora sindaco di San Quirico d’Orcia Danilo Maramai che in una seduta del Consiglio comunale bollò il professore come “arrogante e intellettualmente disonesto”. L’oggetto del contendere l’approvazione di un piano di fabbricazione a Bagno Vignoni. “Speculazione selvaggia o inevitabile progresso? Alberghi e campi da golf o natura e cultura? Tra le colline senesi scoppia un caso nazionale: un famoso intellettuale del Pci contro un paese più comunista di Mosca. E in gioco il futuro di uno dei paesaggi più belle del mondo. Eccola storia della guerra per Bagno Vignoni” scriveva Epoca.
“Asor Rosa che passa le vacanze non solo a Capalbio ma anche a Monticchiello, lancia un’idea che salverebbe definitivamente la Val d’Orcia dalle manomissioni di ogni tipo: facciamo un parco naturale. Il sindaco di Pienza Vera Petreni la comunica ai colleghi degli altri comuni, Radicofani, Castiglione d’Orcia, Montalcino e San Quirico e tutti sono d’accordo. E la proposta di parco comincia a farsi strada” aggiunge Menduni dalle colonne del settimanale. Il resto è storia.
La riflessione, nei primi anni ‘90, parte da un concetto semplice: quello dello sviluppo sostenibile, seguendo le due direttrici principali della salvaguardia e dello sviluppo. Salvaguardia delle opere d’arte, del paesaggio, delle tradizioni e dell’ambiente, cercando di garantire un effettivo miglioramento della vita delle comunità locali che con la loro opera hanno contribuito alla genesi di un patrimonio di rara bellezza e singolarità. Si intende coniugare l’esigenza di non infrangere il modo di essere di paesaggio ed ambiente e al tempo stesso di mirare alla valorizzazione delle caratteristiche peculiari di questa terra. Un processo che avviene dal basso. Gli enti locali, i cinque Comuni di Montalcino, Pienza, San Quirico d’Orcia, Castiglione d’Orcia e Radicofani e la Provincia di Siena, iniziano a pensare alla creazione di un Parco e a compiere i relativi atti. Nel 1996 avviene la costituzione della Società di gestione, nel 1997 viene firmato un accordo di programma tra i cinque Comuni del Parco e l’Amministrazione Provinciale di Siena. Solo nel 1999 avviene il riconoscimento dell’ANPIL con un’area di circa 60 mila ettari, da parte della Regione Toscana. Si chiama Parco Artistico Naturale e Culturale della Val d’Orcia ma si tratta di una ANPIL (Area Naturale Protetta di Interesse Locale) che è sempre uno strumento di tutela del territorio (Regolamento e Piano non sono obbligatori) senza avere vincoli severi come quelli previsti per i parchi nazionale o regionali. Nel 2004 il riconoscimento come Patrimonio naturale dell’umanità Unesco.
E veniamo all’agosto del 2006. Sempre dalle colonne di Repubblica Asor Rosa scrive un articolo dal titolo inequivocabile: Il cemento assale la Val d’Orcia. “La domanda è: un ecomostro è meglio distruggerlo dopo che è stato realizzato o impedirne la realizzazione? La risposta non sembra dubbia (ma ogni giorno la drammatica alternativa si pone qua e là per l’Italia). Mi sono posto la domanda – e ho riflettuto sulla risposta – osservando nei giorni scorsi la nascita di un insediamento immobiliare a fini speculativi alle pendici del colle di Monticchiello. Monticchiello? Sì, avete capito bene: Monticchiello, il bellissimo borgo medievale alle porte di Pienza, sede del celebre Teatro povero, una delle porte d’ ingresso più prestigiose della Val d’ Orcia”. Da quell’articolo scaturì una vicenda durata quindici anni tra le furie e la ricerca di visibilità dei movimenti ambientalisti, carte bollate, strascichi giudiziari e un ecomostro che a guardarlo oggi proprio non c’è e che, a Monticchiello, mai c’è stato.
A distanza di 21 anni, siamo nel 2001, vogliamo pubblicare nuovamente un’intervista che Alberto Asor Rosa rilasciò sul futuro del parco dalle colonne del mensile ‘In Val d’Orcia’. Un contributo di idee al quale Asor Rosa non si è mai sottratto rispetto ad una terra che aveva particolarmente a cuore.
“Parliamo del parco che non c’è”. Vuole spiegarci il senso di questa sua affermazione?
Io ho parlato del parco che non c’è perché penso che dopo dieci anni di elaborazioni e dopo l’istituzione, da parte del consiglio regionale, dell’Anpil Valdorcia, non siano stati compiuti dagli enti preposti gli atti necessari per dare al parco la sua consistenza istituzionale e la sua capacità progettuale. Per esempio, per limitarmi all’essenziale, a circa un anno e mezzo dalla sua approvazione, l’Anpil della Val d’Orcia non ha ancora un regolamento. Ciò significa che non sono state ancora definite le regole, le procedure, i campi d’azione e le attribuzioni di potere sul piano politico e istituzionale delle varie forze coinvolte e di conseguenza il parco risulta essere l’aggregazione più o meno spontanea delle volontà espresse dai cinque comuni che ne fanno parte piuttosto che un’entità capace di darsi un programma.
A che punto è il processo di sviluppo del parco?
Questo bisognerebbe chiederlo ai sindaci e alla Provincia. Ciò che io vedo da spettatore esterno è che le cose per cui il parco era stato pensato e cioè certe qualità tecnico-scientifiche non sono ancora state fatte. Il mio auspicio è che siano fatte presto ma al momento attuale non c’è nessuna testimonianza che questo accada.
Risultati economici, valorizzazione delle risorse e del turismo. Rispetto all’integrazione tra la comunità esistente e questa nuova entità che sta nascendo, lei cosa ne pensa?
A proposito dei risultati economici raggiunti credo che nessuno possa disconoscerli, dal momento che i flussi turistici sono aumentati notevolmente nel corso degli ultimi due, tre anni. Quando il parco fu pensato dissi che, data la sua particolarità, poiché non era un parco puramente naturalistico ma teneva insieme un territorio con molteplici tradizioni e una grande varietà di esperienze umane e storiche, questo parco avrebbe dovuto guardare insieme alla conservazione e allo sviluppo della Val d’Orcia. Quello che è accaduto negli ultimi tre o quattro anni può essere descritto in questo modo: sono state utilizzate le potenzialità economiche del parco senza che fossero messi in atto gli strumenti di salvaguardia del territorio. Cioè è stata sfruttata economicamente l’occasione offerta dalla creazione del parco, non a caso c’è una srl della Val d’Orcia che si occupa delle finalità economiche, anche egregiamente secondo me, ma non esiste un ufficio progettuale del parco, con il quale intendo un insieme di forze e di persone che abbiano come obiettivo di tenere insieme il quadro complessivo, di garantire lo sviluppo favorendo aree come quella del turismo e dello sviluppo commerciale, ma preoccupandosi al tempo stesso che lo sviluppo non diventi un elemento di ulteriore degrado. Io arrivo a pensare anche paradossalmente che, siccome la pura e semplice presentazione dell’idea del parco ha attirato folle turistiche immense, si potrebbe arrivare a sostenere che l’avere parlato del parco senza farlo è risultato in un cero senso dannoso, perché ha aumentato e accelerato i rischi del degrado. Quindi diciamo che relativamente ai benefici il paro è fondato, mentre l’altra metà non esiste e quindi l fatto che ci siano soltanto i benefici economici e non la creazione di un progetto culturale per la conservazione del territorio significa che possiamo accelerare invece che contrastare i processi di degrado del territorio.
La Val d’Orcia è ormai una vetrina internazionale. Quali possono essere i rischi che corrono gli amministratori locali e i cittadini?
Io ho segnalato più volte agli organi competenti che non esiste nessun parco al mondo che non abbia un suo organo di gestione. L’Anpil prevede che l’organo di gestione sia la conferenza dei sindaci e la Provincia. Io sulla base dell’esperienza dubito che la conferenza dei sindaci possa essere l’organo di programmazione e progettazione del parco perché i sindaci sono la realtà politico istituzionale che si occupa di un sacco di cose, dalle fognature all’edilizia. E’ un tipo di figura istituzionale che non può accollarsi il lavoro progettuale e programmatorio. Alla sua domanda rispondo in questo modo: per far funzionare il parco c’è bisogno di un organismo che si occupi della progettazione culturale del aprco alla stessa maniera in cui la Val d’Orcia srl si occupa di quella economica. Se non ci sarà quest’organismo io credo che il parco non sia destinato a vivere a lungo.
E’ realtà o falso allarmismo dettato dalla paura del cambiamento, quello di quanti sostengono che la Val d’Orcia si stia svuotando di contenuti a vantaggio di una sfrenata commercializzazione che la sta rendendo priva di una propria identità costruita nei secoli?
Il primo degrado, che vorrei precisare, consiste per esempio in un eccesso di commercializzazione delle città d’arte come Pienza e Montalcino. Un altro rischio possibile è il fatto che, come in tutti i processi di sviluppo economico, lo sviluppo tende a creare altro sviluppo. Se l’afflusso turistico continua e non ci sono regole per arginarne gli effetti negativi qualcuno potrebbe, per esempio, essere tentato di proporre un progetto di urbanizzazione, di creazione di zone adibite alla ricezione turistica. Da osservatore esterno mi sembra chiaro che, oltre un certo limite, l’esplosione delle forme di commercio e di turistizzazione del territorio tende a provocare una crisi dei vecchi valori e penso che questo sia un pericolo presente.