Vedere cosa? Vedere com’è una cosa abbandonata. E’ una casa come tutte le altre solo che dentro non c’è più nessuno. Ma io lo sapevo che non era vero. E poi come si fa a dire se una casa è abbandonata?
Ecco, ho appena finito “La voce delle case abbandonate” di Mario Ferraguti, scrittore, esploratore, uomo curioso che mi ha accompagnato per abitazioni in rovina, paesi di montagna riconquistati dalla natura, case che un tempo furono di contadini, pastori, casellanti.
E’ un piccolo libro, ma faccio fatica a restituirlo alla mia libreria. Piccolo, ma destinato a risuonarmi a lungo dentro, così come hanno ancora voce i luoghi di cui si parla, ancora voce anche se non ci sono più le famiglie che li hanno abitati, magari per molte generazioni.
Di tutti i gioielli che finora Ediciclo ci ha proposto nella sua collana Piccola filosofia di viaggio, questo è uno dei più preziosi. Bello, suggestivo, intenso. Un viaggio tra i monti dell’Appennino più selvaggio – diventato tale anche per i tanti uomini che sono scesi a valle – che adopera la parola della poesia e la forza della visione.
Pensate a queste case, alla vita che le ha segnate, alla vita che in qualche modo vi rimane. Talvolta le radici degli alberi hanno frantumato le pietre, i rami si sono aperti una strada al cielo attraverso i tetti. Talvolta in cucina sono rimasti tanti oggetti come per una partenza improvvisa. O come se da un momento all’altro ci potesse essere un ritorno.
Quel ritorno che all’inizio le case si attendono. Tanto che all’inizio se ne avverte la tristezza. Prima che si affidino al tempo e al mormorio delle voci. Perché sono vive, le case, nonostante l’abbandono.