FIRENZE – La più grande verità è che Artemio Franchi se ne è andato troppo presto.
Troppo presto per la famiglia, troppo presto per la sua Contrada, la Torre, e troppo presto per il calcio, italiano ma non solo. Nell’agosto di trentanove anni fa in un maledetto incidente stradale, mentre era impegnato nella cosa che forse gli stava più a cuore: far gioire il popolo di Salicotto dopo tanti anni. Se quello paliesco e senese era uno spaccato intimo di Franchi, quello di dominio pubblico era il suo ruolo da massimo dirigente del calcio europeo e mondiale. “Il più grande dirigente del calcio italiano”, come da titolo della tre giorni per celebrare i 100 anni dalla nascita, gli va pure stretto. Questa mattina, nella cornice del Salone dei Cinquecento a Firenze, è emersa la caratteristica che più di tutte rappresentava Franchi: essere un passo avanti rispetto ai suoi tempi.
Un innovatore insomma, capace di dare slancio a tutto quello che ha toccato. Dalla Fiorentina alla Nazionale, come presidente della Federcalcio dopo la disfatta del mondiale del 1966; fino alla presidenza dell’Uefa, quando a Madrid celebrò delle notti più gloriose del calcio azzurro. Per non parlare della realizzazione del centro federale di Coverciano, della creazione della Lega di serie C e di altri segni indelebili lasciati per strada. Una capacità innata di guardare avanti e ricostruire. Tutto quello di cui l’Italia calcistica avrebbe bisogno adesso, dopo la seconda esclusione consecutiva dal campionato mondiale. Non è un caso che a ricordare l’attualità di Franchi siano intervenuti personaggi di primo piano del mondo del calcio, dello sport e anche della sua Contrada. Dal presidente della Lega Pro e promotore dell’evento, Francesco Ghirelli, Giancarlo Abete, appena nominato presidente della Lnd; da Pierluigi Collina, capo degli arbitri mondiali all’ex presidente della Figc, Antonio Matarrese; da Gianni Infantino, presidente della Fifa, a Valentina Vezzali, sottosegretario alla presidenza del Consiglio; dai figli, Giovanna e Francesco, al priore della Torre, Antonio La Marca
Forse l’impresa più grande di Franchi non è però quella di aver rivoluzionato il nostro calcio, ma di essere amato a Siena quanto a Firenze. A lui le due città, in guerra per secoli e divise ancora oggi, hanno intitolato lo stadio. Non c’è altro da aggiungere.