platino--texture--argento--grigio_365254Una frode fiscale all’Iva nel commercio di metalli preziosi, prevalentemente argento, ma pure palladio e platino sarebbe stata scoperta dalla Guardia di Finanza di Arezzo. Complessivamente gli indagati sono 28 e per quattro di loro è stato disposto il decreto di fermo da parte della magistratura aretina. Associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e all’emissione ed all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti il reato contestato. In corso di esecuzione anche 45 perquisizioni, condotte da 150 finanzieri, che interessano prevalentemente la provincia di Arezzo, ma anche quelle di Bari, Roma, Perugia e Benevento. L’autorità giudiziaria ha inoltre ordinato il sequestro preventivo delle disponibilità finanziarie detenute dai principali indagati, anche in maniera dissimulata attraverso parenti, fino all’importo di 3,2 milioni di euro, «corrispondente – si spiega in una nota della Gdf – ad un valore equivalente al profitto del reato sinora già determinato in capo agli indagati, a fronte di una stima di Iva evasa nel solo 2014 pari a 8 milioni di euro».

Alto tenore di vita pur senza reddito L’operazione, denominata ‘Argento vivo’ è uno sviluppo di un’indagine che ha consentito di individuare l’esistenza di una frode fiscale all’Iva nel commercio di metalli preziosi attuata da due distinte organizzazioni criminali. Artefici principali, per la finanza, due aretini, «noti nel distretto orafo locale, che, pur non avendo alcun ruolo formale nelle società coinvolte, erano in grado di controllarne l’operatività, dirigendo i ‘prestanome’ in maniera quasi militare. Gli stessi, grazie ai proventi degli illeciti, potevano mantenere un alto tenore di vita pur risultando privi di qualsiasi reddito dichiarato da molti anni».

Il reverse charge Sulle modalità della frode, le due organizzazioni per anni avrebbero acquistato ingenti quantitativi di argento puro in ambito nazionale, senza corrispondere l’Iva ai fornitori, applicando, spiega la Gdf, il meccanismo del ‘reverse charge’. L’argento veniva poi trasformato in semilavorato, ovvero fuso in verghe, senza alcuna effettiva finalità commerciale ma solo con l’obiettivo di assoggettare ad Iva le successive vendite attraverso le società cosiddette cartiere. Infine il metallo veniva definitivamente ceduto al cliente finale che lo faceva nuovamente affinare per ricollocarlo sul mercato. Un sistema, per l’accusa, che avrebbe consentito ai componenti delle associazioni criminali di «intascare l’Iva generata dalle operazioni commerciali strumentalmente realizzate, nonché al cliente finale di acquistare i metalli a un prezzo sensibilmente inferiore a quello che avrebbe potuto spuntare se si fosse rivolto direttamente alle aziende che fornivano i beni e che davano inizio al ‘circuito’ economico artificioso e ‘messo in piedi’ al solo scopo di poter frodare l’erario». Nell’ambito dell’inchiesta, l’autunno scorso le Fiamme gialle hanno sequestrato 13 verghe argentifere, per un peso di 185 kg e un controvalore di oltre 70 mila euro, ad uno degli indagati che lo aveva acquistato in forma di argento puro e lo aveva poi trasformato in verghe, così da poterlo assoggettare ad Iva e consentire la prosecuzione dell’illecita filiera commerciale.