Una buona notizia in questo avvio di anno che non dobbiamo esaurire in poche ore. Siena è stata riconosciuta meritevole di finanziamento di oltre due milioni di euro da parte del Ministero dei beni culturali per avere presentato un progetto di riqualificazione urbana, partendo dal restauro delle sue antiche mura. Un primo stralcio di intervento che non esaurisce il recupero ma che rappresenta comunque un primo passo.
Le mura sono il simbolo per una città che affonda la sua grandezza e la sua identità nel Medioevo. Significano protezione e identità, certo. Ma oggi in una città lacerata dalle divisioni e da una scarsa capacità di vedere il futuro anche speranza e perché no rinascita. E per questo merita riflettere un attimo, senza derubricare la notizia tra le cose “smart” realizzate dall’attuale amministrazione comunale. Le mura non sono biciclette né piste ciclabili o colonnine di ricarica per auto elettriche.
Ha fatto bene quindi l’assessore ai lavori pubblici Paolo Mazzini, uscendo dal suo connaturato riserbo, a rivendicare su La Nazione oltre che indirettamente il merito anche il senso di quel progetto nato all’interno del suo assessorato in forte sintonia “e concordia” con associazioni e Contrade che da tempo hanno creato un vero movimento civico. Altrimenti si rischiava di perderne la dimensione prospettica. E altrettanto bene ha fatto Roberto Guiggiani che su queste stesse colonne ne ha riconosciuta l’occasione “irripetibile” da cogliere per rendere Siena attraente in maniera nuova.
Le mura custodiscono l’anima di una città, ne indicano grandezza e splendore, la proteggono dall’esterno e segnano quel confine tra mondo urbano e campagna su cui in tanti hanno scritto e che la stessa Unesco, esattamente 20 anni fa, ha riconosciuto inserendo Siena tra le città Patrimonio mondiale dell’Umanità. Mura, dunque, come pietre di memoria ma anche occasione di coinvolgimento della comunità. «Un modello che può essere replicabile in altre situazioni – spiega Mazzini – comprese le periferie, dove sono attive associazioni e gruppi di cittadini impegnati». Ma, e qui Mazzini sposta il ragionamento su un terreno più politico, il modello può aiutarci a ridiscutere sullo stesso significato che deve avere oggi il concetto di città capoluogo. Una mano tesa, dunque, ad un dibattito che si era troppo alla svelta concluso nell’autunno scorso quando il sindaco Valentini aveva sbrigativamente lanciato la proposta della Grande Siena.
Si lascia qui intendere l’idea di un’altra Toscana, che è discorso diverso, un’area vasta che da Arezzo a Grosseto comprende anche Volterra fino ad arrivare sulla costa di Piombino, in nome non solo di valori socio-economici ma anche rurali e ambientali, culturali e storici. In una parola identitari. Contrapposti quindi ad una “miopia” fiorentina”, o potremmo dire “fiorentinocentrica” che vede solo un centro e tante periferie. La sfida pare quindi interessante e Siena, perché no, potrebbe avere un ruolo da protagonista, in nome di quella storia che la fa da sempre capitale. Come capitali a loro modo sono state nei secoli anche Piombino o Volterra.
Occorre, insomma, un colpo di reni a queste antiche città e ai loro amministratori per scrollarsi di dosso l’armatura di città mete esclusivamente turistiche e riprendersi l’armatura che le rese antichi centri di potere, di arte e cultura. Solo così chi ragiona in termini di Firenze capitale potrà ridimensionare la sua pretesa idea di Toscana fatta da infinite periferie che come i capponi di Renzo litigano di volta in volta per la sede legale della Usl, la sede di chissà quale ufficio periferico o altri contentini concessi dal Granduca.
Per questo però dovranno saltare anche le logiche del partito pigliatutto che da anni si logora in mille diatribe, senza una riconosciuta leaderhip e una chiara visione. E che di fronte ai vertici regionali e nazionali china la testa e offre il collo. Proprio sabato scorso, sempre su La Nazione, l’onorevole Susanna Cenni, che del Pd è da anni un’importante rappresentante senza un cenno di autocritica, riconosceva che Siena «non è in grado di fare squadra e produrre risultati». Forse anche il progetto delle mura di Siena può essere la scintilla che fa ripartire il dibattito e il confronto. Non più e non soltanto nel partito unico che negli anni ha dimostrato di aver fallito nella scelta di molti dei suoi uomini e della sua visione, ma nel coinvolgimento di un sistema civico che deve essere riscoperto e valorizzato fino a costruire, chissà, un partito che ancora non c’è e che faccia sentire ognuno protagonista del futuro e del bene comune. Il 2016 nasce dunque con l’augurio di una responsabilità in più e che si rivolge non solo a chi ha deleghe da amministrare ma a chi quelle deleghe deve smettere di darle in bianco e cominciare ad impegnarsi in prima persona.