“Il mio nome è Angiolo Ambrogini, poeta! Meglio noto come Angelo Poliziano, per essere nato a Montepulciano”. Questo poterono apprendere persino i lettori di Topolino allorché nel 1983 il settimanale disneyano pubblicato in Italia ideò una Saga di Messer Papero ambientata nel medioevo e nel rinascimento toscano, in cui Ser Paperone e Paperino, giunti a Siena, incontrano Angelo Poliziano che, in verità, sarebbe stato più probabile trovare a Firenze. E’ così che la maggiore penna poetica del Quattrocento italiano incrociò i celebri pennuti della letteratura a fumetti, per la gioia di grandi e piccini.
Si perdoni questa divagazione al limite dell’irriverenza. Ma il Poliziano, che era persona di “letizia fanciullesca”, starà al gioco. Azzardiamo pensare che egli preferisca le nostre facezie al severo giudizio del De Sanctis, il quale lo definì espressione tipica del “letterato vuoto di ogni coscienza religiosa o politica o morale, cortigiano, amante del quieto vivere, e che alterna le ore tra gli studi e i lieti ozi”.
Sarà pur vero che l’Umanesimo italiano visse nella contraddizione tra forma (splendidamente raffinata) e contenuti (pressoché assenti), ma certo è che Angiolo ha sempre suscitato in noi, fin dai tempi del liceo, ammirazione e simpatia, perché, per dirla con il Carducci, seppe restituire “dignità alla materia, alla carne, alla forma contro l’ascetismo macerante e l’idealismo estenuante del Medioevo”. Imparammo da lui come l’erudizione potesse trasformarsi in un sottile gioco. Finanche i suoi espliciti doppi sensi, che ai tempi della scuola ci facevano sghignazzare all’indirizzo delle vicine di banco, hanno la levità del virtuosismo verbale, abile e calcolato. Tant’è che lo stesso De Sanctis, quando lascerà l’ambito del giudizio morale per quello più pertinente della poesia, dovrà riconoscere al Poliziano la prerogativa di uno stile indubbiamente originale.
D’altra parte il pregio dell’opera di Angiolo Ambrogini (che nelle Stanze per la giostra raggiunge il suo apice) è proprio una bravura letteraria “fine a se stessa”. O come dice meglio Asor Rosa a proposito della Giostra, “siamo di fronte al travestimento classicheggiante della contemporaneità… con la leggerezza elegante, e scarsamente impegnativa, propria di una mentalità ben consapevole di sé e della natura fondamentalmente letteraria dell’operazione”.
E allora “Ben venga maggio / e ‘l gonfalon selvaggio! / Ben venga primavera, / che vuol l’uom s’innamori”. Ben venga il Poliziano che, come avrete capito, consiglieremmo di rileggere.