Nella letteratura antica esiste un testo il cui titolo, Cantico dei cantici, già allude ad una implicita assolutezza. Non a caso in ebraico – questa la lingua originaria della sua redazione datata tra il V e il III secolo a.C. ad opera di autore ignoto – è detto shìr hasshirìm, cioè “il più sublime tra i cantici”. Tale, infatti, è ritenuta la sommità di quella poesia, che il rabbino Akiba non ebbe dubbi nell’affermare che “Il mondo intero non vale il giorno in cui il Cantico fu donato a Israele”.
Il breve poemetto è un dialogo d’amore tra un uomo e una donna. Un canto teso, appassionato, percorso da un sottile ma spasmodico erotismo. E poiché esso è entrato a far parte dei libri della Bibbia ebraica e cristiana, la sua interpretazione religiosa (non senza qualche problema) è ricondotta ad una allegoria dell’amore tra Dio e Israele, tra Cristo e la Chiesa.
Chi ha frequentazioni di letteratura teologica sa bene che la fortuna del Cantico in ambito cristiano si deve in buona misura a Origene che, intorno al 240, gli dedicò un corposo commentario e, successivamente, due omelie. Fu lui a fondarne un’esegesi spirituale dove il vino, i baci, gli slanci sensuali del testo biblico vanno intesi come moti dell’anima protesa verso il Logos. Da allora in poi tutta la letteratura mistica ha ripercorso questa rappresentazione simbolica.
Ma per le nostre esigenze di pura poesia, è più che sufficiente coglierne l’interpretazione naturalistica. Ovvero la vicenda di un’attrazione appassionata e sofferta quale è l’esperienza dell’amore umano.
Tra le molteplici citazioni del Cantico dei cantici (scrittori di ogni tempo vi hanno attinto in vari modi) vorremmo richiamarne una cinematografica. Quella che si ha nel capolavoro di Sergio Leone C’era una volta in America. In due momenti della storia, Noodles e Deborah parlano del Cantico: da adolescenti e quando, ormai in età matura, si rincontrano e lui le confida: “gli anni passavano… ma due cose non riuscivo a togliermi dalla mente: la prima era Dominic, quando prima di morire mi disse ‘Sono inciampato’… e l’altra eri tu che mi leggevi il Cantico dei Cantici. Ricordi? ‘Oh, figlia di principe quanto son belli i tuoi piedi nei sandali… Il tuo ombelico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino, il tuo ventre è un mucchio di grano circondato da gigli, le tue mammelle sono grappoli d’uva, il tuo respiro ha il dolce sapore delle mele”.
Ecco l’umanissimo idillio del Cantico, la sua universalità nel raccontare l’ebbrezza dell’innamoramento. Il dramma dell’amore, quando resti incompiuto o disatteso.