di Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini, Max Seidel
Per quanto a prima vista possa sembrare un’affermazione paradossale, Ambrogio Lorenzetti è un artista poco conosciuto. Il paradosso sta nel fatto che fu senz’altro uno degli artisti più importanti nell’intera Europa tardo-medievale e fu presto celebre presso gli scrittori d’arte (grazie ai Commentarii del grande scultore rinascimentale Lorenzo Ghiberti). Gli studi – spesso di livello altissimo – si sono però concentrati sui suoi affreschi nel Palazzo Pubblico di Siena, le allegorie e gli effetti del Buono e del Cattivo Governo sulla città e il suo contado, ‘manifesti’ cruciali dell’etica politica delle città-Stato italiane nella tarda età comunale e in specie del governo senese dei Nove. Ma la densità concettuale di quest’insieme di dipinti murali, i clamorosi risultati quanto alla riscoperta di una vera e propria ‘pittura topografica’ (sia che ci si riferisca alla capacità di percepire e rappresentare la realtà della città trecentesca sia che si pensi agli straordinari paesaggi) e la speciale perizia di Ambrogio nel riuscire a dare fulminea apparenza visiva a complessi concetti e a catene d’idee, hanno finito per gettare un cono d’ombra sul resto della sua storia e sulle altre sue opere, tutte in realtà fuori dall’ordinario. Si pensi che su Ambrogio Lorenzetti non esiste nemmeno una moderna e affidabile monografia scientifica. Quella di riferimento, opera dell’americano George Rowley, risale infatti al 1958, e già all’uscita da più parti furono messe in luce le sue evidenti pecche. Questa mostra, preceduta da un’intensa attività di ricerca e dall’importante momento conoscitivo che è costituito dai cantieri di restauro, rappresenta dunque l’occasione per provare a squarciare i veli sull’insieme della vicenda artistica di Ambrogio Lorenzetti.
Una mostra dedicata ad Ambrogio è senza precedenti ed è naturale che essa prenda vita entro gli spazi dell’antico ospedale di Santa Maria della Scala, oggi rilevante complesso museale civico. Una tale iniziativa è infatti possibile soltanto a Siena, nella cui area si conserva all’incirca il settanta per cento delle opere conosciute del pittore. Ma la mostra – grazie a una serie di richieste di prestito molto mirate – ambisce a reintegrare pressoché interamente la carriera artistica di Ambrogio Lorenzetti, facendo nuovamente convergere a Siena importanti dipinti che in larghissima parte furono prodotti proprio per cittadini senesi e per chiese di questa città.
Senza perdere di vista, naturalmente, il ciclo politico del palazzo comunale, con la mostra s’intende fermare l’attenzione sullo straordinario linguaggio stilistico dell’artista, su come esso si trasformò nel tempo, sulle qualità intellettuali che emergono specialmente dal suo innovativo stile iconografico, sull’originale declinazione di particolari tipologie di dipinti e sul ruolo avuto dall’artista nel loro sviluppo, e insieme evocare e ricostruire quasi archeologicamente alcuni cicli di affreschi in antico molto celebri ma pressoché distrutti, se non fosse per la sopravvivenza di alcuni frammenti. In mostra, attraverso i lacerti superstiti, e specialmente nel catalogo torneranno così a vivere idealmente i dipinti murali dell’aula capitolare e del chiostro del convento francescano senese, che tra l’altro contenevano la prima rappresentazione di una tempesta nella storia della pittura occidentale (nella quale spiccava la “grandine folta in su e’ palvesi”, scrisse Ghiberti); il ciclo di affreschi del capitolo del convento di Sant’Agostino di Siena, ancora esemplare agli occhi di Vasari; e quello della cappella di San Galgano a Montesiepi, a tal punto fuori dai canoni della comune iconografia sacra del tempo che i committenti pretesero delle sostanziali modifiche poco dopo la loro conclusione.
Accanto a questi, i dipinti su tavola, altri affreschi da tempo distaccati per ragioni conservative dalle loro originarie sedi, una vetrata, la coperta di un registro semestrale della Gabella comunale: le opere oggi note di Ambrogio Lorenzetti sono presenti pressoché interamente al Santa Maria della Scala. Dalle più antiche, che mostrano già l’eccezionalità del giovane pittore nel saper meditare simultaneamente, e trarne sicuri frutti, sulle opere del fratello maggiore Pietro, anch’egli un fuoriclasse tra i pittori del tempo, come sui dipinti di Simone Martini e del patriarca della pittura senese, il grande Duccio di Buoninsegna. A partire da queste, ci s’inoltra entro un percorso che conduce fino alle mirabili opere degli anni venti del secolo, già frutto di una posizione tutta propria di Ambrogio entro il firmamento senese; fino ai dipinti straordinari realizzati a Firenze intorno al 1332, senza paralleli per inventività narrativa e per il clamoroso scandaglio del paesaggio e dei fenomeni naturali (dalle vele delle imbarcazioni che si perdono sull’orizzonte nelle Storie di San Nicola già nella chiesa di San Procolo a Firenze al paesaggio e ai mirifici effetti di luce ‘notturna’ nell’altarolo dello Städel Museum di Francoforte); fino alle opere degli avanzati anni trenta e quaranta, quando Ambrogio s’impose come il più affermato pittore a Siena e fu in grado di monopolizzare anche l’intera committenza del governo dei Nove, assumendo un ruolo di vero e proprio ‘pittore civico’.
Il catalogo, in più, va oltre la mostra, grazie a una corposa sezione dedicata alle opere (conservate e in parte perdute) eseguite in Palazzo Pubblico appunto al servizio dei Signori Nove, ai perduti dipinti murali già sulla facciata dell’ospedale di Santa Maria della Scala, agli affreschi (anch’essi un tempo tra i più celebri del pittore, ma solo in parte conservati) dell’aula capitolare del convento agostiniano senese, alla Purificazione della Vergine oggi alle Gallerie degli Uffizi, uno dei quattro dipinti destinati agli altari dei santi patroni cittadini nella cattedrale di Siena. E comprende tutta la documentazione d’archivio relativa all’artista, non poco accresciuta grazie al lavoro di ricerca che ha accompagnato la genesi di questa mostra. L’occasione, infatti, ci è sembrato da subito doversi risolvere in un preciso obiettivo scientifico: fare il punto storiografico e auspicabilmente accrescere le conoscenze sul pittore “singularissimo” (come lo definiva Ghiberti), sulle sue opere, i suoi committenti, la sua biografia, il suo mondo.
Un progetto in più tappe
Questa mostra viene da lontano. E ha vari anni di lavoro alle spalle. È stata promossa dal Comune di Siena, unitamente all’Arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, al Kunsthistorisches Institut/Max-Planck-Institut di Firenze, all’Opera della Metropolitana di Siena, all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, al Polo Museale della Toscana, alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo e alle Università senesi.
D’intesa con i curatori scientifici, da subito è stato elaborato un programma pluriennale d’iniziative in preparazione dell’esposizione che oggi salutiamo. Essa non è altro, infatti, che il punto d’approdo e la conclusione di un progetto in più tappe, i cui fondamentali passi preliminari sono stati, da un lato, l’allestimento al Santa Maria della Scala e nelle chiese di San Francesco e Sant’Agostino, a partire dal 2015, di cantieri diagnostici e di restauro, aperti anche alle visite del pubblico. Tali iniziative di restauro e – potremmo dire – di storia dell’arte ‘pubblica’ hanno interessato gli affreschi distaccati dalla cappella annessa alla rotonda di San Galgano a Montesiepi e i dipinti murali ancora presenti nelle due chiese senesi, e hanno consentito non solo di avere una rinnovata conoscenza di queste opere, ma, allo stesso tempo, di avviare l’accostamento del più largo pubblico alla pittura del grande trecentista. Dall’altro lato, è stato attivato un seminario presso l’Università degli Studi di Siena, finalizzato al lavoro di ricerca preliminare alla mostra.
Fin dal 2015 è stato creato un gruppo di lavoro composto da giovani storici dell’arte formatisi all’Università senese. Il team è stato lungamente impegnato nello studio delle opere di Ambrogio Lorenzetti, affrontate da molteplici angolazioni: stile figurativo, linguaggio iconografico, committenza, ricostruzione di contesti perduti, provenienza delle opere, loro conservazione, loro fortuna storiografica, periodizzazione dell’attività dell’artista, eccetera. Col coordinamento di Roberto Bartalini e Alessandro Bagnoli, tutto il lavoro è stato condotto e discusso in forma seminariale, allargando il dialogo, in alcune occasioni, ai colleghi storici, archivisti, paleografi e storici della letteratura e della cultura dell’Università senese. Nonché dei tre curatori, il catalogo è dunque opera di questo gruppo di giovani studiosi. Una fondamentale collaborazione dobbiamo a Gabriella Piccinni, ad Andrea Giorgi e a Stefano Moscadelli, forti della loro passione e competenza. Ne siamo felici e riconoscenti.