Siena. La scritta campeggia, bene in vista, sui manifesti della mostra della pittura gotica senese, sparsi copiosamente nelle strade di Bruxelles. E quando si arriva al Bozar, la gigantografia dell’esposizione, è di quelle che lanciano la mostra di punta. Più grandi ci sono solo gli stendardi della Deutsche Bank, che tempestano l’ingresso del museo. Avvisaglia della vera e propria pattuglia di hostess che appena entri ti accolgono e ti tampinano con una frase che non capisci bene, perché sussurrata dolcemente, e anche perché decisamente abbagliato dalla bellezza delle suddette. Rigorosamente multietniche, come tutti gli assembramenti di persone, piccoli o grandi, in questa metropoli multicolore. Comunque la frase doveva suonare pressappoco così: è qui per il Bozar o per Deutsche Bank? Se non fosse per l’avvenenza della esageratamente bella e giovane signorina, avrei risposto in modo argomentato nel mio francese appena più che scolastico: ma le pare che uno che viene dalla città in cui hanno raso al suolo una banca, entri al Bozar per ragionare di banca? E per di più Deutsche? Invece sorrido, rapito. Un ultimo sguardo alla hostess e mi tuffo in un’altra bellezza.
Ars Narrandi, la pittura gotica senese. Nel noir voluto e protettivo delle sale, cupo però fin troppo, gli sgargianti colori delle opere in mostra, splendono e rapiscono, i fondi oro luccicano nel buio. Mi incanta, personalmente, fin dalla seconda sala, l’accoppiata delle due Madonne con bambino, quella di Simone Martini e l’altra di Ambrogio Lorenzetti. Bellissima quest’ultima, perché mi pare che racconti di un sentimento umano, affatto trascendente: si guardano la Madonna e il bambino. Si abbracciano proprio come fa una mamma con il suo piccolo. Commovente. E mi chiedo perché io sia dovuto salire fino a quassù, fino a Bruxelles, per vedere questa bellezza? Perché una sola rapida visita, scolastica, alla Pinacoteca in San Pietro? E per inorgoglirmi e appassionarmi, invece, c’è voluta la missione al Parlamento Europeo. Si continua in mezzo a Passioni e Cristi Crocifissi, tra Resurrezioni e Giudizi Universali, Santi e Madonne Assunte, Trittici monumentali. Una vorticosa successione di emozioni, pensando soprattutto a questi artisti che attraverso la via Francigena incantarono il mondo, partendo da Siena. Secoli dopo, molti secoli dopo, arrivò l’autosufficienza asfittica e letale della città, funzionale solo ad un potere piccolo piccolo e a piccoli piccoli uomini di quel potere. Ci sono anche, in mostra al Bozar, Santa Caterina e San Bernardino, nelle iconografie più conosciute e amate nella città che di santi in paradiso – esclusi quelli in mostra, per carità – non ne ha proprio più.
A metà pomeriggio i visitatori non sono molti. Ma alle diciotto il Bozar chiude e qui devono essere abituati a vedersele con calma, le mostre, a giudicare da due signore non più giovincelle, munite anche di sgabellino. Si mettono a sedere, infatti, via via, di fronte alle opere, e trascorrono lunghi minuti così estatiche che sembrano pregare. Io torno dalla mia Madonna abbracciata al suo Bambino e penso alla Madonna del Parto, che ho visto anni fa e che mi colpì tanto e profondamente. Evidentemente è la maternità, là, attesa e qui invece sancita da un umano abbraccio, che mi suscita le emozioni più forti. Non so quanto questi belgi, che mi sembrano un po’ algidi, possano emozionarsi di fronte al gotico senese. Ma la mostra, per tanti deve essere una bella scoperta.
Esco e ripenso. Sarà per il contrasto con le vie di Bruxelles, splendidamente illuminate per il Natale, ma le sale di Ars Narrandi erano davvero oscure, come certe chiese che ci entri la sera e ti incutono paura. Mi spiegano che è per tutelare tinte e cromatismi. Ed ecco che come per una rigenerazione luminescente, la Grand Place mi accoglie con il suo spettacolo lumiere: ogni batter d’ora, quindici minuti di luci cangianti che colorano i palazzi, bella musica di sottofondo e folla plaudente. E penso che anche Piazza del Campo, in certe sere umide d’inverno, è un po’ buia e perfino troppo silenziosa. Ma di fronte a uno spettacolo di luci e musica nella grande conchiglia, chissà quante polemiche: dai rigorosi “nulla toccanti”, ai contras per picca, passando per gli esegeti della musica che non la concepiscono, se non nella scatola incipriata della Micat in Vertice. Povera Siena, piena più di veti che di santi, in questi tempi grami!
Mi ripiglio dalle turbative senesi, grazie alla passeggiata per Bruxelles, splendida e giovane, piena di mercatini e di cibo di strada. Dal loro camioncino ben allestito, due simpatici vecchietti offrono sei ostriche a otto euro – da 40 anni dice il giornale appeso in bella mostra – e allora vale la pena di provarci. Senza danni. Finisco la serata in un ristorante in cui espongono il pandoro Sapori. Siccome c’è scritto Siena – lo so che ormai Sapori è senese meno di quanto lo sia il Monte, ma c’è scritto Siena! – allora mi alzo e faccio la foto. I camerieri ammiccano e li sento sussurrare: «Italiano»… Mi volto e dico a voce alta: «Di Siena!». E indicando il pandoro, con questo singulto di orgoglio patrio, mi tuffo sul foie gras.