Il Dipartimento di Scienze della formazione, scienze umane e della comunicazione interculturale , insieme ai corsi di laurea per le professioni sanitarie si trovano a pochi minuti dalla stazione ferroviaria di Arezzo, ai piedi della collina del Pionta, uno dei luoghi più ricchi di storia della città. L’area universitaria è situata dove un tempo aveva sede l’Ospedale psichiatrico. Le palazzine del manicomio sono state recuperate dall’Ateneo senese che «al Pionta ha creato un moderno e funzionale campus, dove gli studenti possono trovare tutte le strutture ed i servizi per vivere e studiare nel modo migliore». Questo recita il sito istituzionale dell’Università di Siena a proposito della sua sede aretina, ma studiare nel Campus del Pionta può rivelarsi spesso spiacevole e a volte perfino pericoloso.
Il Colle del Pionta è un sito archeologico di epoca antica e medievale, conosciuto anche come “Duomo vecchio”, si trova a sud-ovest della città di Arezzo, ad un chilometro dall’attuale cattedrale; nell’Alto Medioevo fu sede del centro del potere ecclesiastico e civile di Arezzo con i suoi vescovi-conti. Il Pionta vanta origini antichissime. Con il martirio subito nel 304 dal secondo vescovo di Arezzo, San Donato, – patrono della città – e con l’inizio del suo culto, il sito conobbe una vera fioritura. Sul Colle del Pionta, dopo la pace costantiniana nel 313, venne eretta una cappella oratorio ad opera del successore di Donato, Gelasio, attorno al quale, rapidamente, si sviluppò un importante centro culturale paragonabile a quello di Tours: uno dei principali luoghi spirituali dell’intero occidente. Gli scavi archeologici all’interno del Parco ne danno testimonianza.
Il Pionta, scrigno di tesori antichi Alla primitiva chiesa paleocristiana del IV secolo si affianca nel 650-840 la cattedrale di Santa Maria e Santo Stefano che, come dimostrano le esplorazioni effettuate, rivela la presenza in loco dei longobardi e poi dei franchi, la canonica istituita dal papa Pietro I presso la cattedrale nel 840, la sede vescovile ( il vescovo di Arezzo sarà uno dei primi che dopo il mille si fregerà del titolo di conte), ed infine, il grandioso complesso del Tempio di San Donato, realizzato dal famoso architetto Maginardo ad immagine della Basilica San Vitale in Ravenna, consacrato nel 1032 e purtroppo non ancora identificato dagli scavi.
Il Pionta: un importante passato universitario Dal momento in cui si viene a costituire una vera cittadella vescovile confermata dalla presenza di Maginardo, di Guido Monaco e dell’archivista Gerardo, lo sviluppo degli studi giuridici, musicali e dell’arte della miniatura costituirono la “scuola della cattedrale”. Questa portò alla nascita, ad Arezzo, tra il 1203 e il 1215, della terza Università al mondo dopo Parigi e Bologna. Dopo il trasferimento della cattedrale all’interno della cinta muraria, il Colle del Pionta, meta di venerazione e pellegrinaggio per tutto l’occidente cristiano, venne progressivamente abbandonato, subendo saccheggi e divenendo ricovero di fuorilegge e sbandati. L’ultimo episodio, che determinò il definitivo declino del sito, avvenne in conseguenza della decisione di Pietro Strozzi, nemico del granduca Cosimo I de′ Medici, di accamparvisi con le sue truppe nel 1554, scelta che portò Cosimo I alla demolizione dell’intero complesso nel 1561.
La storia si ripete Il Colle del Pionta è protagonista oggi di una nuova storia universitaria, e di un nuovo sofferto abbandono. Il Pionta custodisce al suo interno il campus universitario della città e i suoi circa duemila studenti. Questi ragazzi e ragazze si ritrovano oggi a dover fare i conti con una realtà ben diversa a quella degli anni passati: dividono i loro spazi con sporcizia, tossicodipendenti e individui accampati nel parco. «Com’è studiare al Pionta? – ci dice ironica Giulia, studentessa dell’Università di Arezzo – guarda te lo dico, questo campus potrebbe essere un posto unico, grazie anche al parco del Pionta che è bellissimo, invece è nel degrado assoluto. Ci sono delle stagioni in cui sembra una giungla, le piante crescono indisturbate senza che nessuno le curi, tanto che a volte spariscono pure i vialetti. Quando piove invece diventa una palude impraticabile. Per non parlare dei ruderi pericolanti recintati qua e là». «Il problema più grande è la sicurezza – aggiunge la sua amica Costanza. Tutti possono entrare e fare quello che vogliono, infatti entrano. Non c’è nessun tipo di controllo e sicurezza. Una ragazza non può passeggiare da sola nel parco neanche di giorno, altrimenti rischia grosso. Ci sono stati diversi episodi anche negli anni passati. La sera quando usciamo da lezione è buio, l’illuminazione è ridicola. È un posto spettrale. Quando andiamo a riprendere la macchina parcheggiata in una di queste viuzze abbiamo paura e andiamo tutti insieme o ci facciamo accompagnare da qualche amico. Per non parlare dei giardinetti di Campo di Marte dietro la stazione, ci passiamo al volo per riprendere il treno o il pullman, a testa bassa, per non attirare sguardi pericolosi. Ma si può vivere così? È giusto ritrovarsi a studiare in queste condizioni?»
Rifugio per senzatetto e tossicodipendenti All’interno del parco del Pionta trovano rifugio molti senza tetto, in gran parte tossicodipendenti, che dormono accampati tra i cartoni e piccole tende. Risale a meno di un anno fa l’ultimo omicidio all’interno del parco. A perdere la vita un senza tetto, si pensa per una lite coi compagni. «Vivere in via Masaccio non è più come prima – racconta Barbara B- . La mia casa affaccia proprio sul Pionta e ti assicuro che ogni sera sto con l’orecchio teso e aspetto di sentire delle urla per chiamare la polizia. Non è bello vivere così. Il Parco è nell’abbandono totale e pensare che era il posto più bello di Arezzo. Io come tante persone del quartiere lo frequento con mio figlio, ci sono anche tanti anziani, ma è diventato pericoloso. Ubriaconi. Violenti, tossicodipendenti, siringhe ovunque, non esagero e – continua – abbiamo paura, anche a passeggiare col cane, tante volte sono scappata perché delle persone si picchiavano, anche con delle bottiglie. La polizia l’ho chiamata molte volte. Io vedo il più totale menefreghismo da parte degli altri aretini che non subiscono i problemi che viviamo noi, e delle amministrazioni – prosegue Barbara -. Continuano a ignorare questa situazione raccontandoci che è colpa del fatto che siamo vicini alla stazione. Ma lo sai che le telecamere che dovrebbero garantire la sicurezza nel parco non funzionano perché vigili, Comune e Polizia si litigano la gestione? La verità per me è che questa patata bollente non la vuole nessuno». Il quartiere di Saione è grande e i disagi sono svariati: «Io abito proprio in via Magellano – racconta Francesca – se vuoi puoi venire a fare le foto dietro casa mia, è pieno di siringhe. Abbiamo chiamato i vigili non so più quante volte, tanto è inutile. Diverse volte abbiamo trovato queste persone tutte nude che si drogavano. Io non lo sapevo ma si bucano in tutto il corpo, non solo sulle braccia. Come vedi ho un bambino piccolo- dice Francesca indicando il passeggino – ha quattro anni e vede anche lui quello che vediamo noi. Sono preoccupata, non posso lasciarlo un attimo camminare da solo neanche davanti al portone di casa, trovare una siringa e prenderla in mano per un bimbo è un attimo».
Donatella & Donatella: socie senza peli sulla lingua «Dal 2004 lavoriamo insieme in via Vittorio Veneto – raccontano Donatella Mangani e Donatella Chinigioli, due commercianti della zona – e possiamo testimoniare come sia cambiato in questi dieci anni il quartiere. È inutile avere paura di dirlo: con la globalizzazione e la venuta di persone provenienti da altri Paesi, il quartiere di Saione si è trasformato. Oggi ci sono strade intere come via Ticino, abitate esclusivamente da stranieri ed integrarsi con culture e usi diversi dai nostri non è facile. Molti si vergognano, noi invece ci mettiamo la faccia e ti diciamo cosa vorremmo che fosse diverso» continua Donatella Mangani. «Saione è diventato famoso solo per episodi di violenza, furti, scippi, auto bruciate e droga, ma Saione è molto altro. Questo era il quartiere abitato dall’Arezzo più industriosa, dai professionisti e dai commercianti, basta guardare le bellissime case in stile liberty di via Masaccio. Certo in questo quartiere ci sono anche i condomini di edilizia popolare degli anni ’50 e ’60, come in via Libia e in via Cesti ma ti farei vedere che belle case, addirittura col parcheggio e il giardino interno. Oggi si parla di Bronx, di ghetto, spesso esagerando. La città si è evoluta e con essa il quartiere. Forse non ci piace come si è evoluta, ma questa è un’altra storia. I problemi ci sono ma è troppo facile dare la colpa agli extracomunitari di tutti i mali della città, quando in realtà gli episodi di degrado accadono qui come in altre zone di Arezzo, basta guardare la zona di Porta del Foro, via Fiorentina e ultimamente anche nella residenziale zona Giotto. La verità è che accadono qui per altri motivi. Dove mancano controllo e sicurezza, si spiana la strada alla delinquenza. Se spacciatori, delinquenti e tossicodipendenti capiscono che possono agire indisturbati in questa zona piuttosto che in un’altra, i loro affari li fanno qui e non altrove. Mancano la tranquillità e la dignità di un tempo concludono -: chi di dovere ci restituisca Saione».
Il grido disperato: «Abbiamo paura» «Sono 30 anni che ho il negozio in via Vittorio Veneto e sa che le dico? Che non ne posso più. Il prossimo anno vado in pensione e ‘stendo’, chiudo tutto – racconta Gina. Qui non ci si fa più e dai furti non se ne cava le gambe. Siamo soli e non gliene frega niente a nessuno. Finché questo era il quartiere dei professorini doveva essere tutto tirato a lustro, un gioiellino. Ma ora che ci vivono in prevalenza persone di altri Paesi non gliene importa più a nessuno se è sporco, pericoloso e ci entrano in casa e nei negozi. Ma lo sa che io ho paura a fare la chiusura da sola la sera? Meno male che mi viene incontro il mio figliolo. Lei ha per caso visto passare un vigile, un poliziotto o un carabiniere oggi? No infatti siamo soli, anzi abbandonati e non mi vergogno a dirlo, abbiamo paura».
Dina, dagli anni ’80 commerciante in via Vittorio Veneto «Una volta via Vittorio Veneto era la via commerciale per eccellenza di Arezzo, il prolungamento naturale del Corso Italia. La sua natura commerciale l’ha mantenuta, però i cambiamenti ci sono stati ed è inutile non voler vedere – racconta Dina, la donna che ha portato la moda ad Arezzo a partire dagli anni ’60 -. Siamo in via Vittorio Veneto dall’84. Da allora questa strada è sempre stata la via dello shopping e si è evoluta con la città. I disagi possono anche esserci ma sparare su questa strada e sul quartiere, disegnandolo come un incubo è sbagliato, e non è veritiero. Proviamo invece a guardare tutta Arezzo e vedremo che tutta la città è sporca, degradata e lasciata a se stessa. Questo è triste, estremamente triste. Arezzo non è più sicura come una volta. Allunghiamo lo sguardo fino a Piazza Guido Monaco, ormai è in mano ai balordi, se non ricordo male è solo di un anno fa l’episodio di guerriglia urbana con spranghe, catene e martelli. Sbaglio o siamo in pienissimo centro e non nel quartiere di Saione? Riflettiamo allora, l’impegno deve esserci su tutti i fronti e in tutti i quartieri, da parte dei cittadini e di chi ha il compito di amministrare Arezzo».
L’ultimo delitto Sperando che la vivibilità a Campo di Marte, Saione, Guido Monaco e in tutta Arezzo migliori, attendiamo i risultati dell’attività di prevenzione, repressione e riqualificazione promessa congiuntamente dalle forze dell’ordine e dall’amministrazione comunale di Arezzo. Il degrado denunciato, come si vede, continua a fare vittime e nel numero inseriamo anche la povera donna senza fissa dimora morta qualche giorno fa a seguito dell’aggressione con l’alcol subita in pieno giorno per mano del suo compagno di vita e di disagio.