SCARPERIA – Il nuovo spot dell’Acqua Panna, uscito in questi giorni, già divide la Toscana e i toscani. Girato in Val d’Orcia, tra i comuni di San Quirico d’Orcia e Castiglione d’Orcia, in alcune delle icone paesaggistiche più conosciute e riconoscibili, lo spot del marchio italiano che fa parte del gruppo Sanpellegrino, gioca sul concept di ‘acqua toscana’ che nasce in Toscana e scorre in Toscana.
Niente da obiettare. Corretta la forma e la narrazione. Eppure, c’è chi, di fronte allo spot, ha storto il naso. La sorgente di Acqua Panna nasce e sgorga a Scarperia, a 35 kilometri da Firenze, nel Mugello. E così, sui social non è mancato chi ha voluto farlo notare, come a dire: ‘quello spot inganna’.
Ma è davvero così? La Val d’Orcia, con le sue immagini, non è solo un paradiso per fotografi. Negli ultimi 30 anni sono sempre più gli enti pubblici e le aziende private che hanno ‘preso in prestito’ gli scatti di questo paesaggio per farne l’oggetto di vere e proprie campagne pubblicitarie. Un fenomeno che, in taluni casi, ha portato la valle alla ribalta nell’opinione pubblica nazionale e internazionale, aprendola al grande pubblico; in altri anche ad un utilizzo improprio del brand e della sua narrazione se accostate, in modo errato, alla componente visiva. Ma cosa c’è alla base della scelta di un pubblicitario incaricato da un’azienda o da un ente di proporre o indicare un’immagine rispetto ad un’altra? Quali meccanismi scattano nel processo creativo di una campagna pubblicitaria? E, soprattutto, perché quello della Val d’Orcia è uno dei paesaggi più scelti dai creativi di tutto il mondo?
“Non c’è una risposta universale – spiega Paolo Iabichino, scrittore pubblicitario, direttore creativo e fondatore Osservatorio Civic Brands con Ispos Italia nel saggio Valore Val d’Orcia, il fenomeno del paesaggio italiano più iconico al mondo (primamedia editore) –. Per alcune aziende quelle immagini, quei paesaggi sono parte del destino della marca, fanno parte dell’identità e quindi vengono usate in chiave identitaria. Nel momento in cui il pubblicitario si cimenta con la comunicazione di quell’azienda inevitabilmente attinge da quei patrimoni; altre volte è il pubblicitario che in assenza di idee ricorre a quel paesaggio come chiavistello, come passepartout narrativo come userebbe un bambino, un cane, un gatto. In assenza di idee le cose che funzionano meglio sono le cartoline, i testimonial, i bambini e gli animali”.
“Altre volte la Val d’Orcia dovrebbe rassegnarsi, perché è un paesaggio talmente bello che può essere preso in prestito come parte per il tutto. Oggi prendo la Val d’Orcia, domani la Valtellina e se ne faranno una ragione i valtellinesi e poi dopo un anno prenderò le immagini delle Langhe, perché non mi serve più la Val d’Orcia: ciò che serve a un pubblicitario è semplicemente un bel paesaggio. La domanda che mi faccio è: la Val d’Orcia ha dei bei paesaggi? La risposta è sì. Posso rappresentarli in maniera anonima? Sì, perché sono dei bei paesaggi”. Una scelta, quella di utilizzare i paesaggi della Val d’Orcia e della Toscana più in generale, per le campagne pubblicitarie che non è solo tecnica da parte dei creativi. Le ragioni affondano anche in un secondo livello di lettura e interpretazione del valore di un territorio che si basa sulla forza evocativa e del percepito che quell’immagine evoca nel consumatore.