FIRENZE – Una ricerca che coinvolgerà in varie forme 27 mila pensionati dell’area Firenze-Prato, per analizzarne i bisogni e individuare modalità di promozione dell’invecchiamento attivo.

E’ l’obiettivo della collaborazione, avviata dalla Fnp-Cisl Firenze-Prato con l’Università di Firenze (Dipartimento di formazione, lingue, intercultura, letteratura e psicologia), codificato in un apposito protocollo presentato stamani nel capoluogo toscano.

“Abbiamo deciso – spiega il segretario generale Fnp-Cisl Firenze-Prato, Viviano Bigazzi – di avviare questa collaborazione con l’Università di Firenze, in maniera integrata e a più livelli, per conoscere i bisogni dei nostri iscritti e promuovere un invecchiamento attivo e la qualità di vita delle persone anziane. Oggi si vive più a lungo che in passato, ma è importante la qualità di questi anni di vita che abbiamo guadagnato. Questo è l’impegno e l’obiettivo della Fnp”.

In una prima fase, nelle prossime settimane, saranno realizzati dei focus group per raccogliere i principali bisogni e timori legati all’invecchiamento. Sulla base di quanto emerso, verrà creato un questionario on line ad hoc, che sarà proposto, da Maggio a Luglio, a tutti gli iscritti ultra sessantenni alla Cisl Firenze-Prato. A Settembre saranno costituiti dei gruppi di incontro per una breve formazione sulla psicologia dell’invecchiamento e della longevità. Al termine del percorso verranno poi strutturati e programmati interventi per rispondere ai principali bisogni emersi, rivolti a tutti gli iscritti, con la possibilità di incontri di informazione sull’invecchiamento, interventi socio-emotivi per promuovere il benessere psicologico, interventi di screening e training cognitivi, l’eventuale istituzione di uno sportello di ascolto e sostegno psicologico durante questa delicata fase della vita.

La professoressa Ersilia Menesini, del Dipartimento FORLILPSI dell’Ateneo fiorentino, responsabile della ricerca, ha evidenziato un cambio di atteggiamento nei confronti dell’invecchiamento, un tempo oggetto di scarsa attenzione da parte della ricerca. “Ora – ha detto – anche l’invecchiamento è diventato una fase della vita importante: l’adolescenza dura vent’anni, l’invecchiamento altrettanto, perché da 60-65 anni a 80-85 anni, le persone hanno una fase di invecchiamento in cui ancora possono essere una risorsa e coinvolte in una serie di attività importanti per la comunità. Da lì è nata questa proposta di avviare percorsi di invecchiamento attivo, collaborando con associazioni di volontariato o come in questo caso sindacali, che raccolgono e fanno rete con gli anziani. Lavorare sull’invecchiamento attivo oltre ad essere importante per le persone, consente un ritorno positivo per la società, ad esempio in termini di riduzione delle spese sanitarie. Non a caso i geriatri oggi definiscono il grado di invecchiamento di una persona in funzione del numero di farmaci che deve prendere: quando il numero è particolarmente elevato, a quel punto la persona è anziana; prima, se sta bene, fondamentalmente non viene considerata anziana, vengono chiamati ‘giovani anziani’, di fatto persone ancora con una relativa condizione di benessere”.