«In questi giorni è nato in città un dibattito utile sulla tutela del cibo di tradizione e di qualità. A Firenze apre un ristorante a settimana, per non parlare di minimarket e “asiamarket”, senza necessità della minima autorizzazione e licenza a causa della deregulation del commercio di Bersani-Monti. Il risultato? Nelle città d’arte come la nostra assistiamo ad uno snaturamento irrefrenabile del nostro patrimonio culturale che è fatto anche di cibo. Dove c’erano botteghe artigiane, caffè storici, cinema, vecchie osterie ora aprono fast food, pizzerie e ristoranti dequalificati pronti ad accalappiare il primo turista inconsapevole. Tutto sotto gli occhi del Comune inerme». Così il sindaco di Firenze, Dario Nardella è intervenuto nel dibattito scatenatosi intorno ad una norma approvata la settimana scorsa dalla giunta comunale di Palazzo Vecchio che autorizzerà l’apertura di negozi e ristoranti nel centro del capoluogo di regione, solo se venderanno o offriranno cibo da consumare al 70% minimo di provenienza o produzione toscana.
La Commissione dei “5” Una norma che poi ha subito un ulteriore variante: ci saranno 5 saggi che decideranno ‘vita o morte’ per i nuovi ristoranti. Per chiunque intenderà aprire un’attività di somministrazione dentro le mura di Firenze, ci sarà una commissione di esperti che avrà l’ultima parola, a prescindere dalla percentuale di prodotti toscani offerti. Di questi, tre saranno dipendenti di Palazzo Vecchio, la direttrice dello sviluppo economico Lucia De Siervo, la dirigente del settore Marta Fallani ed il responsabile dell’ufficio centro storico Carlo Francini, mentre gli altri 2 saranno esterni all’amministrazione, ancora però da individuare: un esperto di ristorazione, e un esperto di scienze dell’alimentazione. Il testo che ha varato questa commissione di esperti, dedicato al ‘cibo’, è a suo volta collegato al regolamento per la tutela e il decoro del centro di Firenze sottoposto alla vigilanza dell’Unesco. E proprio la commissione dei 5, una volta formalmente nominata, deciderà se autorizzare o meno l’apertura dei ristoranti ‘non toscani’, o comunque di attività alimentari che non rispettano la regola del 70%.
Nardella: «Non possiamo restare a guardare» «Io penso che in attesa di una norma nazionale non possiamo restare a guardare le nostre città che perdono l’anima – ha aggiunto il sindaco Nardella – Per questo dopo il nostro regolamento a tutela dell’area Unesco abbiamo introdotto una regola che impone il rispetto del 70% di prodotti toscani e della filiera corta, per tutelare la tradizione e la cultura alimentare del nostro territorio e frenare la vendita e somministrazione incontrollata di food di qualunque tipo. Se però un ristorante o un alimentare non rientra in questo criterio un team di 5 esperti valuterà comunque una deroga per la qualità del progetto, con una procedura che deve essere semplice e trasparente. In questo modo nessuno impedirà l’apertura di un buon ristorante giapponese o di un negozio alimentare di prodotti campani doc. a patto che siano autentici, di qualità e si integrino con il contesto storico-culturale della città. Molti hanno apprezzato, molti altri ci dicono che siamo illusi, dei provinciali. Dobbiamo adottare misure concrete e incisive per proteggere il nostro patrimonio universale e tutelare la biodiversità contro una mercificazione cieca. Firenze ancora una volta può essere un esempio per tutti. Se qualcuno ha altre soluzioni credibili si faccia avanti. Siamo aperti a soluzioni migliorative. Questo è solo l’inizio di un confronto importante da non lasciar cadere».