Dunque, vediamo: negli ultimi mesi, da marzo, il “virus” della partecipazione ha preso a imperversare nelle istituzioni senesi. Prima gli Stati Generali della cultura, poi la giornata dell’Università, quindi, ieri l’evento partecipativo organizzato dalla Fondazione Mps. E va bene. Meglio confrontarsi e dibattere, che far finta che tutto vada bene a Siena, che la città sia ripartita, che i conti con il passato siano stati chiusi.
Meglio mettere intorno ai tavoli le idee piuttosto che giocare semplicemente al risiko delle poltrone, perfino con l’escamotage dell’assesore regionale che c’è ma non c’è. Che sarà senese, che guiderà la cultura, l’università e la ricerca nella regione, che sarà anche vicepresidente, ma il cui nome – Monica Barni – lo si lascia circolare, ma senza dirlo. Come una sorta di “vedo-nonvedo” della politica, che non poteva che prendere le mosse da Siena, città simbolo della politica sussurrata, trapelata, trasversale negli accordi sottobanco.
Ecco, la sfida delle idee è anche l’unica che può liberarci da una sorta di assurda dicotomia: e cioè che da una parte ci siano i “rancorosi” e dall’altra i “ripartiti”. Questi ultimi sarebbero i filo-governativi, pronti ad esultare per la città smart, per le colonnine delle bici elettriche senza bici – ma arriveranno a novembre? – per gli aperitivi a comando in Piazza del Campo per brindare tra soliti noti ad una marchettara festa toscana. Pronti, i filo-governativi, a gioire anche per i dieci mesi in cui il Santa Maria viene affidato alla solita Opera, perchè unica via per evitare la chiusura.
E i rancorosi, invece, sarebbero quelli che sottolineano che la città dopo essere stata depredata, non ha visto alcun processo di reale attribuzione delle responsabilità. Poi ci sarebbe anche una città normale, delusa per la tradita aspettativa di rinnovamento annunciato e subito ripiegato. Ma questa non conta.
Ma via, non lamentiamoci troppo, perchè, come diceva Dario Fo, «il nostro piangere fa male al re». Scriveva Enzo Iannacci e cantava Dario Fo: «E sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re,fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam». Ecco non facciamoli diventare tristi, i nuovi “re senesi”, sempre alleati con i “ricchi” – parecchio meno! – del Mps e con il potere temporale di una curia senese, che sa come stare in mezzo agli affari.
Però se bisogna essere allegri, e non si riesce a sorridere a tutto spiano, non è che si è “rancorosi”. Non è possibile che chi non è d’accordo e non è “allegro”, sia mosso dal rancore per il passato, quando invece ha solo bisogno di un futuro diverso da prima. Non è giusto che in questa sciagurata congiuntura della città, si stia più attenti a chi fa la faccia torva e alza la voce, che non alla totale rimozione in atto, dell’attribuzione delle responsabilità dello scempio di Siena.
C’è una città, che sta ancora sommersa, che in misura del 50% non partecipa più al voto, che non è rancorosa, ma che non dimentica di essere stata depredata prima dall’accoppiata Pd-finanza allegra; illusa poi dal rinnovamento annunciato; e tradita sia nel bisogno di giustizia (non quella dei tribunali, ma quella della politica), sia nelle speranze di una ripartenza che si fatica a dare per innescata.
Ma ora c’è la partecipazione. Comune, Università e Fondazione Mps. Come dire, le tre massime istituzioni cittadine, avviano processi partecipativi. Sul perchè, proprio ora, ognuno la pensi come gli pare, possibilmente senza troppa dietrologia. Prendendo il meglio che c’è. Solo che la pesante presenza istituzionale ha aleggiato sugli eventi in questione in misura esondante. Meno in quello dell’Università. Ma ieri in Fondazione Mps, c’è stato un fiume di interventi dei soliti noti, sindaco in testa, che potevano essere evitati. Se si battezza un momento di confronto, con l’etichetta della partecipazione, prima bisogna che gli addetti ai lavori che governano enti e istituzioni, siano lì per ascoltare i cittadini. E poi per dare segnali di recepimento delle idee sottoposte. E’ inutile andare da ogni parte a ripetere che Siena è ripartita. I momenti di partecipazione sono fatti per l’ascolto, non per l’ulteriore rappresentazione istituzionale delle cose ben fatte da chi governa.
Nel merito, però, l’idea della Fondazione era positiva. I buoni intenti erano efficacemente riassunti nella comunicazione ufficiale dell’evento: «In linea con la nuova strategia di ascolto del territorio, già presente anche nel precedente Documento Programmatico Pluriennale, la Fondazione è interessata a recepire input e spunti di riflessione sui principali bisogni e priorità sociali della comunità locale e sul rinnovato ruolo della Fondazione a servizio della propria comunità. La comunità senese è, quindi, chiamata – si leggeva ancora – ad una nuova forma di dialogo, a contribuire alla costruzione di un innovativo percorso di riposizionamento della Fondazione a servizio del territorio, che potrà raggiungere i migliori risultati se supportato da interazioni, collaborazioni e sinergie con gli interlocutori di riferimento». Bene, il “riposizionamento” della Fondazione nei rapporti con il territorio appare necessità strategica, visto il distacco degli ultimi mesi.
Ma tornando alla partecipazione, tutti e tre gli eventi a forte impronta istituzionale hanno avuto la caratteristica del “mordi e fuggi”. Solitamente i processi partecipativi credibili sono quelli che vanno aventi per mesi e giungono a risultati definibili e concreti. A Prato, per esempio, “CrowdPrato” è stato uno spazio aperto per riflettere sul futuro della città, che ha visto centinaia di persone partecipare a incontri e approfondimenti tematici dal 25 ottobre al 18 dicembre 2014. E alla fine i progetti migliori, giudicati tali da una giuria mista di cittadini e rappresentanti istituzionali, sono stati subiti finanziati per la realizzazione. Concretezza e sostanza e nessun intervento delle autorità cittadine.
Ecco, se i tre eventi istituzionali senesi sono stati un inizio, tutto va bene. Si può migliorare. Se invece sono stati solo uno sfizio per mettersi la maglietta della partecipazione, sarà facile scoprire che sotto la maglietta, ancora una volta, il re – inteso come sistema-Siena post sfascio, non come persona singola – sarà nudo. Cercheremo comunque di non dare soverchio fastidio, perchè sappiamo che il nostro piangere fa male al re. E la metafora è sempre collettiva e non ad personam.