Crescono le richieste di aiuto ai centri Caritas di Firenze, e in particolare aumentano gli italiani in difficoltà soprattutto se donne con figli. E’ questo l’aspetto più rilevante del rapporto Caritas 2006-2010 presentato questa mattina a Palazzo Medici Riccardi con il quaderno della collana “profili Fragili” e dal titolo “Dinamiche di povertà a Firenze”. Curato da Annalisa Tonarelli (ricercatore presso il Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia dell’Università di Firenze e coordinatrice dell’Osservatorio Diocesano) il rapporto è stato presentato in una conferenza stampa dalla stessa curatrice, da Alessandro Martini, Direttore della Caritas Diocesana di Firenze e dall’Assessore alle Politiche sociali della Provincia di Firenze Antonella Coniglio.


I DATI STATISTICI


Nel corso del 2009 sono transitate dai Centri d’Ascolto o dalle strutture della Caritas in rete 8.733 persone. Si tratta, rispetto all’anno precedente, di un incremento di poco inferiore alle 1.300 unità (pari al 17,4%) mentre, rispetto al primo anno di riferimento (2006) si assiste ad un incremento di poco inferiore al 110%.
L’incremento riguarda entrambe le componenti, quella italiana e quella straniera, tradizionalmente la più consistente. Se tuttavia andiamo a considerare gli incrementi relativi, scopriamo che mentre il numero degli stranieri aumenta tra il 2006 ed il 2009 del 99%, quello degli italiani subisce un incremento pari al 199,1%. I dati del primo semestre del 2010 mostrano come questa tendenza all’incremento relativo della componente italiana venga ulteriormente rafforzata: gli italiani diventano infatti oltre il 16% del totale.
In linea generale, l’utenza appare costituita in modo nettamente prevalente da uomini (62,5%) con differenze quasi impercettibili riguardo alle due componenti italiana e straniera.
Dal confronto 2006 2009 emerge come, nel caso degli stranieri questa divaricazione tra generi è il frutto di una riduzione repentina tra il 2006 ed il 2007 della componente femminile a cui segue un parziale recupero nel biennio successivo che porta ad un nuovo superamento della soglia del 40% nel primo semestre del 2010; nel caso degli italiani ci troviamo di fronte ad un costante incremento tanto in termini assoluti quanto percentuali del peso delle donne che, partite da un 24% del 2006, raggiungono nel 2009 il 37%, percentuale che subisce un ulteriore, lievissimo incremento nel primo semestre 2010. I dati confermano dunque una evidenza di carattere generale e cioè che quanto più quello della povertà è un fenomeno che tocca trasversalmente le varie componenti sociali, tanto maggiore è la possibilità che siano le donne (sole o in rappresentanza di una famiglia) a rivolgersi ai centri per ricevere aiuto. Nello specifico caso della componente straniera l’elevato numero di donne può essere considerato un indicatore di maggiore stanzialità dei percorsi migratori e, dunque, di una condizione di bisogno che non si lega tanto alle fasi di ingresso ma a quelle di permanenza nel nostro Paese.


Le caratteristiche – Dal punto di vista anagrafico, gli italiani, uomini e donne, tendono ad avere una composizione tutta polarizzata nelle fasce adulte e anziane mentre i giovani non rappresentano che una quota minoritaria; gli stranieri presentano una maggiore differenziazione sulla base del genere ed una netta prevalenza dei giovani rispetto agli anziani. Le ragioni che spiegano questi profili sono piuttosto evidenti: sugli italiani incide la protezione del welfare e della famiglia di cui godono giovani e giovanissimi; sugli stranieri la più precoce autonomia di cui sono protagonisti i giovani, la minore protezione da parte del welfare e la relativa novità del fenomeno migratorio ma anche la temporaneità dei flussi che porta ad avere una componente anziana più contenuta anche se, nell’intervallo 2006-2010 va registrato un costante innalzamento dell’età media tra gli utenti stranieri e un abbassamento di quella degli italiani
Riguardo allo stato civile ed alla condizione familiare, i profili sono molto differenziati:
Quello che appare con maggiore evidenza è quello degli uomini italiani per i quali l’aspetto connotante è rappresentato dall’elevata percentuale di celibi (47,3%), dunque soggetti che, congruentemente con quanto ci indica la letteratura, ed in modo quella sulla marginalità sociale, offrono maggiori potenzialità di sperimentare una vulnerabilità di tipo relazionale (meno legami e legami meno forti), tendenzialmente non hanno figli e vivono soli, magari in alloggi di fortuna o in accoglienza. Il secondo profilo è invece quello delle donne italiane dove è proprio la componente definita a partire da una rottura (più o meno volontaria) del vincolo matrimoniale a costituire l’elemento caratterizzante in una logica comparativa (25,1%); si tratta spesso di madri sole con figli. Il terzo profilo è quello tipico delle donne straniere in cui domina la componente delle coniugate, quasi sempre con figli conviventi che vivono in un nucleo familiare eed in una casa in affitto, che rappresentano poco più della metà del totale. E’ evidente che il dato aggregato è in grado di dirci poco rispetto alle strategie migratorie ed al relativo, diverso grado di autonomia che corrisponde ai vissuti di queste donne. Il dato certo è che, la stabilità familiare rappresenta un elemento che si associa all’esperienza migratoria per motivazioni che possono essere anche molto diverse e che, ovviamente, andrebbero lette in una prospettiva attenta alle diverse culture di appartenenza. Il quarto profilo, infine è quello degli uomini stranieri dove troviamo una caratterizzazione meno marcata: sembrano sommarsi qui, per certi aspetti, tanto le caratteristiche peculiarmente maschili – una consistente quota di celibi – e degli stranieri – elevata presenza di coniugati.


Le problematiche – Dai dati traspare poco la natura multidimensionale del fenomeno povertà: quello di natura economica, per quanto diversamente declinato (dalla povertà grave ala difficoltà a far fronte ad esigenze eccezionali) è il problema nettamente prevalente. Detto questo, dietro la denuncia di un problema economico può nascondersi un disagio più complesso del quale l’interessato non sempre e non necessariamente è consapevole o immediatamente disposto a parlare; le dimensioni della povertà non solo sono molte, ma sono quasi sempre intrecciate in catene causali non sempre facili da individuare. La tematica abitativa – va ricordato che in termini assoluti resta costante mentre in termini percentuali si riduce rispetto al passato la componente di chi vive in alloggi di fortuna, mentre in costante crescita, soprattutto tra le donne, sia italiane che straniere, la quota di chi vive in affitto o addirittura in una casa di proprietà – e, soprattutto del lavoro vengono ad assumere una rilevanza fondamentale. Tra gli italiani sembra farsi sempre più spazio una componente di soggetti che, pur essendo occupati, vivono situazioni lavorative precarie o comunque non tali da metterli al riparo dal rischio povertà: quelli che vengono definiti working poors passano, infatti, dal 5,5% del 2006 al 13,5% del primo semestre del 2010. Riguardo agli stranieri emerge invece, da un lato, un elevato grado di partecipazione al mercato del lavoro con una quota di inattivi che tocca appena il 2,7% nel primo semestre del 2010dall’altro, le crescenti difficoltà a trovare un’occupazione che peraltro, oltre alle condizioni materiali di sopravvivenza, consenta anche la regolare permanenza sul territorio nazionale.
Sullo specifico del lavoro immigrato i dati ci consentono di aprire una prospettiva di analisi originale legata al confronto tra esperienze maturate nel paese d’origine e occupazione in Italia facendo emergere come esista un evidente relazione tra le due variabili.


Aspetti dinamici – In primo luogo è stato possibile osservare come nel corso degli anni sia cambiato il rapporto tra vecchi e nuovi utenti: nell’arco temporale (2007-2010) tende a decrescere la componente di utenti insorgenti (registrati per la prima volta nell’anno di riferimento) e nuovi (registrati nei due anni precedenti) mentre incrementano in modo altrettanto progressivo le quote di utenza più strutturali.
Da questo punto di vista non si rilevano differenze particolarmente significative tra italiani e stranieri anzi, potremmo dire una volta di più che, al passare del tempo, anche rispetto alle modalità di presa in carico, percorsi di italiani e non italiani vanno assumendo caratteristiche sempre più simili.Per certi versi potremmo dire che proprio in relazione all’espressione di un bisogno che non è tanto ( o non è più ) di natura contingente ma stabile i cittadini stranieri sembrano evidenziare il caratteri strutturali della loro permanenza nel nostro paese. Se nelle prime fasi del percorso migratorio la Caritas diventa uno se non il primo approdo dove si cerca la soddisfazione di un bisogno vitale ed immediato con il passare degli anni, oltre a continuare a svolger questa funzione, viene a rappresentare anche la risorsa alla quale ci sia appoggia nel tentativo di non far crollare il proprio progetto migratorio e familiare; in alcuni che ormai soggiornano stabilmente nel nostro paese, come gli albanesi, ci racconta un operatore, “senti proprio questo urlo di disperazione per il ripresentarsi di un incubo che si è già vissuto, tornare in una situazione di disagio, di incertezza che porta molti uomini, di nuovo a girare per tutta l‘Italia a cercare lavoro mentre le mogli restano a casa e vengono ora, dopo tanto che sono qui a chiederci aiuto”.

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