Poiché – secondo il celebre monito attribuito al D’Azeglio – fatta l’Italia c’era da fare gli Italiani, a questo prestarono la loro opera diversi letterati, impegnandosi a costruire un immaginario collettivo di patria. Poco, infatti, avrebbe potuto lo Stato in assenza di uno… status emotivo. Già alcuni scrittori si erano spesi in questa azione pedagogica. Si pensi a Ippolito Nievo con Le confessioni di un italiano. Scritto tra il 1857 e il 1858, il corposo romanzo (ritenuto dagli editori troppo lungo e non del tutto in linea per superare il vaglio della censura) vide la sua pubblicazione postuma solo nel 1867. Ebbe subito un discreto successo, anche se ha dovuto sempre vivere nella debordante ombra creatagli dai manzoniani Promessi sposi. Peccato, perché il libro di Nievo ha, per il suo tempo, una indubbia originalità stilistica e di contenuti. L’intento dell’autore era, appunto, di contribuire a una educazione nazionale (così come intese fare successivamente anche De Amicis con Cuore) ma gli esiti letterari (e non solo) di Nievo sono di gran lunga superiori a quelli deamicisiani. Nelle Confessioni di un italiano c’è, sì, l’idea del buon cittadino che con le sue scelte personali contribuisce al farsi della storia; c’è però raffigurato anche un complicato universo di sentimenti, di contraddizioni, di errori, di impliciti giudizi verso la morale borghese che vanno a impersonarsi nel protagonista (un picaresco antieroe risorgimentale) Carlino e nella stupenda, sensuale, emancipata figura della Pisana (ben altra cosa dal modello di femminilità della manzoniana Lucia).
Nelle prossime settimane ci sarà comunque modo di parlare più diffusamente di scrittori e libri che alimentarono un sentimento unitario (e identitario) di patria. Ad esempio il Fogazzaro di Piccolo mondo antico, vicenda costruita sullo sfondo degli accesi contrasti tra liberali e austriacanti; non trascurando certo il romanticismo amoroso/patriottico di cui Foscolo aveva fatto grondare Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Per arrivare, magari, allo straordinario I Viceré di Federico De Roberto con la sua “disillusa” visione del Risorgimento e dell’unificazione italiana. Romanzo che non può essere tralasciato insieme, ovviamente, al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Non a caso i due libri sono da sempre oggetto di una querelle critica su quanto l’uno possa dirsi maggiormente “romanzo storico” rispetto all’altro. Insomma, grande fu pure il Risorgimento letterario. Molti gli scrittori che hanno “fatto” l’Italia, anzi gli Italiani.