Giovani medici si eserciteranno a simulare interventi direttamente sui cadaveri per diventare bravi chirurghi. Non c’e’ nulla di macabro bensì un metodo fondamentale di apprendimento ‘sul campo’, ed è ciò che faranno ad Arezzo per tre giorni, a partire da oggi, venti in partecipanti, 10 italiani e 10 dal resto del mondo, dal Sud America alla Scandinavia, dalla Tailandia alla Nuova Zelanda. In pratica, si tratta di una tre giorni riservata a specialisti e futuri professionisti di età tra i 30 e i 40 anni che permette di operare su ”preparati anatomici umani” (ovvero cadaveri o parti di essi, in particolare teste) per studiare al meglio l’anatomia e per «non commettere in futuro errori su pazienti che rischiano la vita».
«Italia e Grecia fanalini di coda per studio sui cadaveri» L’obiettivo, spiega Luciano Mastronardi, direttore di Neurochirurgia dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma ed unico docente italiano del corso, «è dunque apprendere dai corpi senza vita per formare i nuovi specialisti di domani. L’apprendimento su cadavere è fondamentale, ma Italia e Grecia sono i fanalini di coda in questo settore della ricerca. Dai tempi di Leonardo Da Vinci – afferma Mastronardi – l’Italia è stata la prima ad aver scoperto l’importanza di investire sul corpo come strumento di formazione». Oggi nel nostro Paese c’è però ancora una forte resistenza ad operare sui cadaveri: «E’ una riflessione che bisogna fare, perché la nostra legge vieta l’utilizzo di cadaveri italiani per questa fondamentale metodologia di lavoro e studio, mentre negli altri Paesi questo metodo formativo viene riconosciuto come indispensabile per la didattica»’. Questo nostro limite, sottolinea l’esperto, «ci mette in analogia con lo scenario greco: noi siamo i fanalini di coda della ricerca e della didattica in chirurgia. Anche nelle Università, infatti, gli specializzandi possono solo assistere ad autopsie ma non apprendere da esercitazioni su cadaveri».