telefonoUna linea telefonica dedicata per raccogliere le disponibilità dei cittadini e delle famiglie che intendono accogliere nei loro immobili i rifugiati. E’ quanto ha deciso di attivare oggi stesso il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, traducendo in questo modo l’appello lanciato ieri da Papa Francesco, che ha invitato ogni parrocchia ad ospitare una famiglia di profughi, ma soprattutto facendo seguito ai contatti e alle disponibilità che già gli sono pervenute in questi giorni. A ieri infatti erano già una ventina le persone che lo avevano contattato per offrire la loro disponibilità. Altre se ne sono aggiunte questa mattina.

Il numero della speranza Al telefono, il cui numero è 3316983061, risponderà personale della presidenza regionale. Gli interessati potranno chiedere informazioni e lasciare il loro recapito, in attesa che, già con la riunione di Giunta in programma per domani, si possano definire meglio le procedure per questa accoglienza diffusa, in accordo con Prefetture e associazioni di volontariato.

Toscana sull’esempio di Islanda, Germania e Austria «In Islanda, paese di poco più di 320 mila abitanti, un movimento di cittadini nato su Facebook, ha già messo insieme 16 mila famiglie disposte a ospitare, a fronte di una quota di appena 50 rifugiati assegnata al paese – spiega Rossi – In Germania e in Austria, una piattaforma digitale incrocia le disponibilità dei residenti con le necessità di chi cerca accoglienza. Forse anche noi in Toscana possiamo guardare ad alcune di queste esperienze che stanno maturando in un continente dove i fili spinati e il clima da crociata stanno finalmente lasciando campo alle ragioni del buon senso, della concretezza e della umanità. E’ evidente che questo moto di solidarietà sta cambiando profondamente il quadro del problema – conclude il presidente della Regione Toscana – Grazie alle parole del Pontefice, alle scelte della Merkel, al lavoro di tanti amministratori e volontari stiamo riuscendo a non cedere ai ricatti e alle peggiori strumentalizzazioni. Ora semmai è il momento di discutere di integrazione e soprattutto di evitare che i rifugiati in attesa del riconoscimento siano obbligati a una totale inoperosità, che non restituisce niente alle comunità che li accolgono e che svilisce la loro dignità».