Ebbene sì, lo confesso, Expo 2015 mi è piaciuto. Al punto che, dopo una prima visita, ci tornerò, perché una giornata davvero non basta per vedere e capire tutto quello che sta dentro e oltre i padiglioni dell’esposizione universale a Milano. Non voglio perdere tempo a rispondere ai detrattori di Expo 2015, a chi critica per partito preso o perché comunque è più semplice vedere ciò che non funziona e dare per acquisito tutto ciò che funziona e bene. Vorrei solo chiedere una cosa a chi ha accusato l’albero della vita di essere kitsch e fuori luogo perché è di metallo e lampadine: ma se avessero trapiantato una sequoia alta trenta metri dal parco di Yellostone e l’avessero agghindata come un abete natalizio sarebbe stato meglio? O forse per rappresentare l’universalità della terra in quanto luogo generativo era meglio un bel seme di fagiolo in un barattolo vuoto della Nutella, avvolto nel cotone idrofilo umidiccio per farlo crescere ben benino dal 1 maggio al 31 ottobre e vedere quante foglioline erano spuntate?
Non ho ancora visitato tutti i padiglioni, anzi, credo mi manchino i più importanti perché le code per entrare erano improponibili con un solo giorno a disposizione – ma è una lacuna che intendo colmare al più presto – però ho visitato tutti i cluster, percorso in lungo e in largo Decumano e Cardo e partecipato pure a una conferenza al padiglione degli agronomi, quindi credo di poter fare un bilancio onesto. E dire che Expo 2015 non è un baraccone gigantesco da fiera strapaesana, ma ha affrontato e affronta in modo completo e stimolante il grande, cruciale tema dell’alimentazione sulla terra. Animali compresi.
Regalando anche piacevoli sorprese come il padiglione del Belgio, in cui un Paese relativamente piccolo ha dato una risposta al problema di come fare a moltiplicare le risorse alimentari senza stravolgere ambiente ed ecosistema realizzando una serie di vasche dimostrative dove i pesci vivi “creano” il nutrimento per le piante che “creano” il nutrimento per i pesci. Sì, certo, al piano rialzato del padiglione c’erano il ristorante gourmet (delizioso), l’angolo per la degustazione della birra (squisita) e quello del cioccolato (inavvicinabile!!!), ma lato turistico-folcloristico a parte, il padiglione belga era perfettamente in tema con Expo e proponeva la sua efficace visione su come nutrire il pianeta.
Considero il padiglione zero e quello del Vaticano le tappe che renderei obbligatorie per ogni singolo visitatore. Non perché sono belli o divertenti o intriganti. Anzi. Vistare quello del Vaticano è come prendere un pugno in faccia, ma il suo valore è quello delle sberle che si danno a chi non riesce a svegliarsi e ha bisogno di una bella scossa per uscire dallo stato di torpore dovuto a eccessi di alcol o droghe che lo hanno rimbambito. Il padiglione del Vaticano è un atto d’accusa senza “ma” e senza “se” all’uso inopinato che viene fatto del Pianeta sotto il profilo delle risorse alimentari, ma anche un’affermazione di speranza perché testimonia con proiezioni e fotografie quanto realizzato da volontari e religiosi per portare a compimento lo slogan implicito nel manifesto dell’evento Expo 2015: un mondo senza fame è possibile.
Il padiglione zero, giustamente posto davanti all’ingresso, andrebbe proprio visitato da subito perché dà ragione di tutto quello che si vedrà e sperimenterà dopo, nei cluster e nei vari padiglioni. E lo fa in modo grandioso, visionario, usando la tecnologia e la poesia, le parole e le immagini, le statue di gesso degli animali e le montagne di plastica dei rifiuti. Cosa mi è piaciuto di più? L’esercito di arcimboldi accanto al cancello d’entrata, un’armata colorata, maestosa come i guerrieri di terracotta del Celeste Impero, ma allegra e priva di minacce.
Scoprire che in una delle aiuole del cluster dedicato alle erbe aromatiche avevano fatto crescere il coriandolo. Il profumo del riso nel padiglione tailandese, i cassetti pieni di tutti i tipi di cereali conosciuti che sono stati messi in mostra da un produttore italiano di pasta e affini (no, non è chi pensate!) corredati da spiegazioni scientifico-pratiche degne di un museo. E le facce contente della gente. Sarà stato un caso, avrò avuto fortuna io, o non so che, ma in un’intera giornata passata a Expo non ho sentito un lamento, una protesta, un pianto di bambino o un’imprecazione per il caldo (ce n’era), per le code di attesa (alcune lunghissime), per il forte odore di cibo fritto che ti inondava a tratti e cozzava con il sapore del profumato caffè appena bevuto.
Ci tornerò a Expo 2015, oh se ci tornerò.