La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Tempo di vacanze. Regalatevi un viaggio fuori dai circuiti di massa, difficile e con qualche rischio. Tant’è che prima di partire consultate il sito del Ministero del Flusso di Coscienza. Insomma, fate un viaggio dentro voi stessi prendendo a guida l’Ulisse di Joyce. E così comprendere che a costruire le nostre persone, a rivelarci ciò che siamo (non siamo, vorremmo essere) sono le molte diversità incontrate. Fosse anche un viaggio nella nostra città per un solo giorno di ordinaria quotidianità. Importante è che sia il viaggio a percorrere noi nel profondo. Magari fatevi un selfie.
Statuario, il pingue Buck Mulligan spuntò in cima alle scale, con in mano una ciotola di schiuma su cui giacevano in croce uno specchio e un rasoio. La vestaglia gialla, slacciata, era lievemente sostenuta alle sue spalle dall’aria delicata del mattino. Alzò la ciotola al cielo e intonò: – Introibo ad altare Dei. Immobile scrutava dall’alto la buia scala a chiocciola, e sgraziato strillò: – Vieni su, Kinch. Vieni su, spaurito gesuita. Solenne avanzava montando sulla tonda piazzola di tiro. Con un dietrofront, benedisse severo tre volte la torre, la terra circostante e le montagne appena sveglie. Poi, accorgendosi di Stephen Dedalus, a lui si chinò e prese a disegnare veloci croci nell’aria, gorgogliando di gola e scuotendo il capo. Stephen Dedalus, contrariato e in preda al sonno, poggiò le braccia sulla sommità delle scale, e gelido squadrò quella faccia gorgogliante che scuotendosi lo benediceva, equina in tutta la sua lunghezza, i capelli biondi non tonsurati, screziati e color quercia chiara. Buck Mulligan sbirciò un istante sotto lo specchio, e subito coprì la ciotola. – Si torni in caserma, fece austero. Poi aggiunse, con tono da predicatore: – È questa, infatti, miei carissimi, la vera Cristina: corpo e anima esangue e piaghe. Musica lenta, prego. Chiudete gli occhi, signori. Un momento. Qualche problema con quei globuli bianchi. Silenzio, tutti. Lanciò uno sguardo di lato e fece partire un grave e lungo fischio di richiamo, poi si fermò un momento in attenzione estatica, i denti bianchi e regolari scintillanti d’oro in più punti. Crisostomo. Due fischi robusti e striduli risposero nella calma. – Grazie, vecchio mio, gridò forte. Basta così. Stacca la corrente, bene? Saltò giù dalla piazzola di tiro e serio, nel raccogliere intorno alle gambe le pieghe della vestaglia in libertà, squadrava il suo spettatore. Il viso pingue e adombrato e la mascella ovale e arcigna ricordavano le sembianze d’un prelato, mecenate medievale. Un sorriso gioviale s’affacciò pacato tra le labbra.
[da Ulisse, James Joyce]