stefano fassina«Sono convinto che Firenze e la Toscana possano essere un buon laboratorio dove valutare se a sinistra del governo e soprattutto di questo Pd vi sia una forza alternativa che rappresenti meglio la gente e soprattutto i lavoratori di quanto non stiano facendo oggi l’esecutivo ed il Partito democratico. Sono venuto per incontrare le persone, come sto facendo in tutta Italia, e per valutare il polso delle persone di sinistra che non si sentono più rappresentate dal partito il cui segretario è Matteo Renzi». Nella città dove soltanto nel gennaio 2014 l’oggi premier Matteo Renzi lo apostrofò con l’espressione denigratoria «Chi?», l’ex sottosegretario all’ex economia Stefano Fassina, invitato dall’ex consigliera regionale Daniela Lastri, ha scelto il circolo ‘Sms Rifredi’ di Firenze per una serata dedicata al confronto su ciò che accade alla sinistra del Ggoverno, a pochi giorni dal suo abbandono del Pd, e a poche ore da un evento, in calendario domani a Roma che lo vedrà protagonista al teatro Palladium di Roma, insieme a Monica Gregori, a Pippo Civati, a Sergio Cofferati, Luca Pastorino, in un convegno organizzato di fatto da tutti i fuoriusciti Dem.

 

Fassina secondo lei Renzi ha capito che il suo Pd sta perdendo non solo pezzi al suo interno ma soprattutto consensi in termini di voto visto il risultato delle recenti regionali?

«Abbiamo sperato fino alla fine che dopo uno sciopero di seicentodiciotto mila insegnanti, dopo il risultato delle elezioni amministrative che ha reso evidente che un pezzo di popolo democratico non si riconosceva piu’ nel partito democratico, Renzi volesse riaprire un dialogo, volesse provare a ricucire lo strappo. Invece è arrivata la fiducia sulla scuola che è stata per alcuni di noi, a partire dal sottoscritto, inaccettabile. Non mi pare che Renzi abbia capito e continua sulla sua rotta. Il Pd è un partito che è interessato con la grande finanza, con i grandi manager, molto allineato e sottomesso alla Germania. Un partito che è in grande difficoltà a rappresentare i lavoratori e noi invece vogliamo che i lavoratori, gli insegnanti, chi non ce la fa ad arrivare alla quarta settimana, sia protagonista di una stagione di riforme che possono veramente meritare il nome di riforme».

 

Secondi lei il governo ce la fa a portare fino in fondo il termine naturale della sua legislatura, ovvero il 2018?

«La maggioranza c’è. Dipende da cosa intende fare, dipende da quale disponibilità arriveranno da forze che sono formalmente all’opposizione. Il punto è che il governo non ce la fa a rispondere ai problemi drammatici di questo paese perché la direzione di marcia è una direzione che non aiuta. Magari piace alla Merkel ma la Merkel fa gli interessi della Germania, non fa quelli dell’Italia. Le soluzioni che piacciono alla Merkel dubitino che vadano bene per l’Italia».

 

Domenica si aspetta dal referendum indetto dal governo guidato da Alexis Tsipras una risposta definitiva al piano di salvataggio dell’Europa per la Grecia?

«Domenica sarà una tappa storica per l’Europa, un passaggio storico, una prova del senso della democrazia europea. Non ho capacità di preveggenza, non so come andrà a finire perché la popolazione che è stremata dopo cinque anni di sacrifici durissimi, non so come reagirà al ricatto, alle banche chiuse, alle code, alle minacce di espulsione dall’euro e dall’Europa. Il referendum indetto è una grande prova di democrazia. Tsipras ed il suo governo hanno avuto il coraggio di rimettere la politica al centro, di non accettare i diktat di Berlino e di Bruxelles, di dare la parola al popolo su una scelta così importante. E’evidente che è una prima battaglia, difficilissima, perché in queste ore il popolo greco è bombardato di messaggi terroristici, di ostacoli di ogni ordine e tipo che vengono dall’esterno perché il suo governo ha osato contraddire l’ordine tedesco che domina in Europa. Il suo governo lo ha fatto per affermare l’interesse nazionale della Grecia, dei lavoratori, ed è stato punito. Il  memorandum ha l’obiettivo politico di far saltare il governo Tsipras perché è un governo scomodo».

 

Secondo lei Ignazio Marino ce la fa a concludere il suo lavoro come sindaco di Roma o verrà esautorato prima dal suo ruolo?

«Marino ce la fa se tutto il Pd lo sostiene in modo convinto. Se il segretario nazionale del Partito democratico prende le distanze da Marino e fa il giochino che ha fatto con Letta, Marino non ce la può fare. E’innanzitutto una scelta politica che deve fare tutto il Partito democratico. In questa situazione di incertezza i problemi si aggravano e cio’ non giova a nessuno, certamente non giova ai cittadini romani, ma non giova neanche al Partito democratico».