Sembrava proprio di vivere in un bel mondo, nel 1985. Chi c’era, se lo ricorda bene. Anche se, a ripensarci, quasi tutto il marcio che scontiamo oggi, viene da lì. Da quel periodo di folle ebbrezza. Di assalto alla spesa pubblica e di speculazioni in borsa: di raccomandazioni facili per farti assumere alle Poste, di nani e ballerini. Della “Milano da bere”.
Non c’erano guerre all’orizzonte. Anzi, c’era addirittura l’Urss che stava allentando la presa, con Gorbaciov e la sua Perestroika. Craxi aveva metodi discutibili, ma ricordo un suo discorso su Marx e Proudhon che all’epoca mi entusiasmò (chissà chi glielo aveva scritto, poi…). La Lancia Thema era lo status symbol per chi voleva esibire un po’ di benessere raggiunto, ma più in generale c’era la sensazione che qualsiasi buon diavolo dotato di buona volontà, l’avrebbe tranquillamente sfangata. E a 55 anni, godersi la meritata pensione.
La televisione, che alle undici metteva il monoscopio, esplorava nuove frontiere di orario e di qualità: “Quelli della Notte”, per esempio, fu una trasmissione di culto. La musica riempiva le discoteche (al Jump di Sinalunga già alle nove e mezzo non ti facevano più entrare), e sfido tutti quelli che hanno la mia età a non sentire un brivido, anche adesso, quando parte “Wild Boys” dei Duran Duran o “Through the Barricades” degli Spandau Ballet (anche se il miglior “attacco” rimane “Pride” degli U2).
Poi, arrivò l’Heysel. E fu il classico iceberg sul quale si infranse il Titanic delle nostre certezze giovanili. Era una serata calda. Io, me la ricordo benissimo. E ricordo benissimo la voce rotta di Bruno Pizzul e quell’aria di sgomento che prese tutti noi, davanti alla televisione… Che quando mi dicono, a trent’anni di distanza, che i calciatori non si erano accorti di niente, mi viene da ridere. La sensazione della tragedia la avvertimmo a migliaia di chilometri di distanza. Figuriamoci quelli che stavano a un centinaio di metri.
Il football, che è circolare, e spesso salda le proprie storie con il destino e la vita di tutti i giorni (e forse è il suo bello) concede alla Juve di giocarsi la finale di Coppa dei Campioni, esattamente a trent’anni di distanza da quella sera. Sarebbe bello che la vincesse. Per quei trentanove angeli che morirono per una partita di pallone. E che Buffon, nella sua prima dichiarazione dopo averla alzata nel cielo di Berlino, la dedicasse a loro. E dicesse: «Eccola, ragazzi. Ve l’abbiamo riportata. Adesso, riposate in pace».