Fu chiamata Grande Guerra, quella del 1914-1918 (per l’Italia 1915-1918). E drammaticamente grande fu per il numero dei paesi coinvolti (27) e delle vittime: solo per l’Italia se ne contarono 1 milione tra militari e civili; su scala mondiale 37 milioni fu il triste computo di morti, feriti, mutilati. Una sciagura che nel nostro Paese spazzò via quasi un’intera generazione. Provocò trasformazioni politiche, economiche, culturali, di costume, di identità nazionale.
Perciò la narrazione ‘vera’ della Grande Guerra non ce lo consegnano tanto i libri di storia, quanto i fatti e le testimonianze di milioni di eroi-non-eroi che ne furono, volenti o no, protagonisti, insieme alle loro famiglie in pena, ai piccoli mondi (rurali, di paese, urbani) da cui provenivano. Sono quelli i racconti che ci offrono la reale percezione di cosa significò il conflitto mondiale in termini umani e sociali.
Anche la città di Siena ha un suo racconto del ’15-‘18: di combattenti, vittime, eroi, polemiche ideologiche, drammi umani, rassegnazioni, stizzose rivalse, commosse memorie. Basti sfogliare, in proposito, i giornali dell’epoca o alcune pubblicazioni dell’immediato dopoguerra. Lo ha fatto recentemente Giuliano Catoni offrendone un agile e ragionato compendio con la pubblicazione del libro “Siena e la Grande Guerra” (Betti Editrice per l’Università Popolare Senese, 2014). Così come interessanti contributi in materia sono scaturiti dal convegno di studi “La Grande Guerra in provincia, comunità locali e fronte interno: fonti e studi su società e conflitto”, tenutosi nei giorni scorsi. Del resto, in questo anno centenario, molte sono le iniziative meritoriamente promosse (il “Corriere di Siena” ha realizzato uno Speciale di 12 pagine) per ricordare, aggiornare pagine di storia, capire meglio, oggi che la distanza temporale offre maggiore prospettiva.
Ricordare per dimenticare Giusto in queste recenti circostanze si sono richiamate le diverse testimonianze (luoghi, monumenti, lapidi, epistolari, libri) che in Siena fanno memoria della Grande Guerra. Ebbene, di quel triste frangente esistono tracce residue persino in alcuni canti popolari che tuttora si intonano nelle contrade. Sappiamo bene, infatti, come gli anni di guerra furono vissuti e sofferti nei rioni di Siena spopolati d’uomini (231 non sarebbero tornati). Nelle società di contrada regnavano polvere e ragnatele. Poi l’incubo terminò, tornarono i reduci e anche la vita dei rioni riprese a coniugarsi con una compatibile spensieratezza. Significativo quanto accadde nella contrada dell’Oca, dove nel 1919 venne ricostituita una società alla quale, guarda caso, fu dato il nome di Trieste. Nel primo articolo dello statuto leggiamo: «Dalla Società dei Quindici, nata in Fontebranda nel 1904 e disciolta di fatto nel 1915, a causa delle molteplici e numerose chiamate alle armi per la guerra del 1915-18, è sorta la Società Trieste, dal fatidico nome della Città Redenta, sogno di tante generazioni italiane». Alla ‘Trieste’ – e non solo lì – si riprese anche a cantare. Per scordare innanzitutto la guerra. Ma come spesso accade in testa e cuor nostri, talvolta per dimenticare è necessario ricordare. Allora qualche reduce prese a insegnare, ad altri, canzoni imparate al fronte, magari suggerendo quella stessa naturale polifonia che si era orecchiato lassù, di qua e di là dalle montagne che dividevano due eserciti, due cori, due disperazioni.
Canta che ti passa Ecco perché, a distanza di cento anni, è possibile ascoltare ragazzi di contrada che cantano versi come questi: «Quando sarem sul campo della vittoria / i tuoi capelli sì, sì, io bacerò. / I tuoi capelli son ricci e belli, / son rilegati col filo d’oro. / Angelo del buon Dio, per te io mòio, / angelo del buon Dio, per te io morirò». Con qualche variante la canzone si trova nella raccolta “Canti di soldati”, pubblicata nel 1919 a cura di Piero Jahier, scrittore e poeta, volontario tra gli alpini nella Prima Guerra mondiale. Nell’introduzione egli scrive: «Ho raccolto questi canti di soldati così alla buona, a memoria… Nel raccoglierli ho ubbidito a una legge sola: che fossero popolari tra noi soldati. La popolarità è una scelta già fatta: vuol dire che corrispondono al nostro sentimento di guerra».
Cantare era addirittura un ordine. Un foglio volante distribuito sui campi di battaglia così catechizzava i combattenti: «Hai freddo, hai fame? Canta che ti passa! Senti la nostalgia del tuo paese, della tua casa, della tua mamma? Canta che ti passa! Senti la febbre per l’azione che dovrà cominciare e nella quale ti butterai a capofitto, senza speranza di conservarti la vita? Canta che ti passa! Senti la noia sfibrante degli ozi, della lunga, vigile attesa? Canta che ti passa!». E i soldati cantavano accorate villotte friulane, cantilene venete o lombarde, ballate piemontesi, stornelli toscani, nenie meridionali o rifacimenti di canzonette in voga. Singolari medley di sopravvivenza e di baratto culturale.
Son l’undici di notte Un altro canto entrato nel canzoniere senese e che rintracciamo nel repertorio dei soldati del ‘15-’18 è «Son l’undici di notte”. Forse già in origine a tema amoroso, nella versione di guerra divenne, invece, un mesto coro con cui gli alpini salutavano l’arrivo del nuovo ufficiale giunto novizio al Battaglione “Monte Mandrone” che operava sui passi dell’Adamello. Al povero ufficialino si preconizzava una brutta fine: “Son l’undici di notte, e l’aria oscura: / tutto è silenzio e dormono gli augelli / del cimitero io varco le mura / e guardo intorno a questi muti avelli. / Povero Giulio [il nome cambiava di volta in volta], dovrai morire anche tu». Per quanto non documentato, è presumibilmente importata in epoca post-bellica anche la delicatissima serenata “Fiocca la neve”.
Nella Siena canora sono andati invece perduti certi stornelli che fino agli anni ’50 del secolo scorso qualche vecchio si divertiva ancora a canticchiare. Strofette decisamente antibelliche che provavano a voltare rabbia in ironia, del tipo: «Il general Cadorna faceva il carrettiere / per asinello aveva Vittorio Emanuele”, “Il general Cadorna si mangia le bistecche / ai poveri soldati ci dà castagne secche. / Bom bom bom al rombo del cannon”. O, a costernante ricordo di quando erano stati chiamati alle armi i ragazzi nati nel 1899: “Il general Cadorna ha perso l’intelletto / chiamà il ‘99 che fa ancor pipì nel letto».
In conclusione. Ogni epoca, ogni segmento di storia ha avuto un sua colonna sonora che ne costituisce anche la memoria tramandata. A Siena, città in cui la memoria è quanto mai esperienza condivisa, pure alcuni canti dell’epoca di guerra resistono al tempo. A un tempo di pace, per nostra fortuna.