La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Ricorre il settantesimo della Liberazione dal regime fascista e dall’occupazione tedesca. E’ giusto farne memoria, ancorché debba essere pagato dazio a qualche eccesso celebrativo e di retorica. Perché c’è sempre il rischio che alla libertà ci si abitui o stanchi. Ogni frangente della storia contiene minacce alla libertà, talvolta travestite da progresso e disincanto.
Sulla Resistenza esiste una vasta e pregevole letteratura. Tra i diversi titoli, pare significativo richiamare “Una questione privata” di Beppe Fenoglio, romanzo breve (incompiuto e pubblicato postumo), che racconta la lotta partigiana in maniera antieroica, emblematica, critica. In quelle pagine, dove i sentimenti ‘privati’ intrecciano i valori universali, «c’è – scrisse Italo Calvino – la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia».
«Traversava, affondando nel fango fino alle caviglie. Non poteva avanzare di più di quattro passi senza doversi fermare a scollarsi i chili di fango che gli gravavano gli scarponi. Puntava alla fascia boscosa che cingeva a metà la collina piramidale. Era appena il preambolo dell’aggiramento della puntata dei San Marco a Santo Stefano.
Gli alberi erano anneriti dalle piogge e, senza che tirasse vento, sgrondavano fragorosamente.
Come vi entrò sotto, subito sentì un trepestio, annaspamenti, delle esclamazioni smozzicate di allarme e di disgrazia. Allora stese avanti una mano e disse:
– Non abbiate paura. Sono un partigiano. Non scappate.
Erano cinque o sei uomini di quella collina che, riparati nel bosco, spiavano le mosse dei fascisti laggiù in Santo Stefano. Erano tutti ammantellati e uno portava a tracolla una coperta arrotolata. Avevano anche fagottini di roba da mangiare. Se i soldati avessero puntato di sorpresa alla loro collina, essi erano pronti ed equipaggiati per fuggire e restar lontani per ventiquattro ed anche quarantott’ore.
Senza parlare, solo guardando di sottecchi la sua straordinaria infangatura, tornarono ai loro osservatori, indifferenti allo stillicidio che gli infradiciava i berretti e le spalle. Il più anziano di loro, ed anche quello che sembrava sopportare con più buon umore la situazione, un uomo con capelli e baffi bianchi e occhi umorosi, domandò a Milton:
– Quando dici che finirà, patriota?
– Primavera, rispose, ma la voce gli uscì troppo rauca e falsa. Diede un colpo di tosse e ripeté:
– Primavera.
Allibirono. Uno bestemmiò e disse:
– Ma quale primavera? C’è una primavera di marzo e una primavera di maggio.
– Maggio, precisò Milton.
Rimasero tutti sbalorditi. Poi il vecchio domandò a Milton come avesse fatto ad infangarsi così.
Milton arrossì, inspiegabilmente.
– Sono caduto in discesa e sono scivolato di petto per molti metri.
– Verrà pure quel giorno, disse il vecchio guardando Milton con troppa intensità.
– Certo che verrà, rispose Milton e richiuse la bocca. Ma il vecchio insisteva a fissarlo con un’avidità insoddisfatta, forse praticamente insaziabile.
– Certo che verrà, ripeté Milton.»
[da Una questione privata di Beppe Fenoglio]