«Un grande atto di fede, per una trasposizione teatrale che non ha cambiato una virgola rispetto al testo di riferimento». Con queste parole l’attore – livornese doc – Claudio Margmugi descrive lo spettacolo “Massischermo” che porterà sulla scena del Teatri i 4 Mori di Livorno giovedì 9 aprile alle 21. Sul palco arriveranno i testi di Riccardo Lorenzetti, autore del volume “L’anno che si vide il mondiale al maxischermo” (co-edizione Betti-primamedia editore – leggi). «Massischermo è uno spettacolo multistrato. Solo apparentemente è una commedia leggera alla Don Camillo e Peppone. Sotto le righe racconta la crisi di una sinistra e di una politica che non c’è più», racconta ancora Claudio Marmugi.
In che senso una sinistra che non c’è più? Cosa vedremo sul palco?
«La trama parla dell’organizzazione di una Festa dell’Unità, a Livorno nel 2006, anno in cui l’Italia vince i mondiali in Germania. Ebbene tutta l’organizzazione ricade sul vecchio 87enne ex partigiano che decide di non mettere il maxischermo perché, secondo le sue idee, la gente non può recarsi alla festa per vedere Giappone-Jugoslavia ma bensì per seguire i dibattiti, gli incontri ecc. Intanto, proprio di fronte alla Festa dell’Unità, Pro Loco e Diocesi organizzano la Festa della Misericordia. E mettono il maxischermo per seguire i mondiali. Risultato? Esodo di massa verso quest’ultima iniziativa. Già da queste poche parole si capisce come a volte l’ideale sia lontanissimo dalla realtà dei fatti».
Il tuo spettacolo porta il nome del libro di Riccardo Lorenzetti. E’ stato amore a prima vista con il volume?
«Il testo di Lorenzetti è uno dei più belli che mi sia passato tra le mani. Io ho sempre fatto cose mie, mai di altri. L’incontro con “L’anno che si vide il mondiale al maxischermo” è stato abbastanza casuale. Un mio amico che l’aveva letto mi ha detto di vedermici tantissimo. Nel senso che lo leggeva e ci sentiva la mia voce. All’inizio ero molto scettico. In 22 anni di carriera d’attore mai nessuno è riuscito a mettermi in bocca una battuta, un po’ perché scrivo e faccio cose di mia produzione, e un po’ perché anche mentre ero a Zelig (2004-2009) nessun autore è riuscito a scrivere qualcosa per me. Perché, a detta di tutti, il mio modo di fare di parlare era veramente molto personale e le battute scritte da altri e dette da me facevano ridere meno. Poi si trattava dell’ennesima volta in cui mi sentivo dire: ‘ho letto questo, ti ci vedo’. Scetticissimo, un giorno al mare ho letto il libro di Riccardo Lorenzetti. Dopo la prima lettura, ho subito pensato a come trasportarlo sul palco. Non ho cambiato una parola rispetto al libro. L’ho solo trasportato nella Livorno del 2006 rispetto all’Amiata dove Lorenzetti ambienta il suo testo».
Come è stato questo lavoro di trasposizione?
«Da quanto mi ha detto Lorenzetti, c’è già stata una commedia tratta dal libro. Con più personaggi. Al contrario, io l’ho sempre considerato un monologo. Chiaro, il monologo diventa un mix di voci e di personaggi diversi. Basta avere un minimo di onestà ideologica anche per vederci molto della nostra scena pubblica e politica. E’ uno spettacolo che ha una morale e uno spessore di riflessione altissimi».
Quale il messaggio?
«L’importanza della ricerca e della consapevolezza delle proprie radici. Perché le ideologie hanno tutt’oggi il loro valore. Ci sono delle frasi che dice il vecchio partigiano in cui emerge la necessità di dare la giusta importanza alle ideologie e le tradizioni del passato riadattate ai giorni nostri. Chi dice ‘a destra e sinistra sono tutti uguali’ lo fa solo per convenienza perché conosce poco la storia. E questo emerge tra le righe del testo di Lorenzetti».