Storie di vita dal carcere. Oltre alle cronache che raccontano purtroppo di suicidi e atti di violenza, succede anche che un gruppo di detenuti decida di prendere carta e penna e chiedere al Presidente della Repubblica la grazia per un loro compagno. Alla casa di reclusione di Ranza, a San Gimignano, infatti, un gruppo di carcerati mosso da “compassione e umanità” ha deciso di raccontare la storia di Alfio Freni, entrato in carcere appena maggiorenne e che da 24 anni vive ininterrottamente dietro le sbarre, in una condizione di assoluta incosapevolezza del proprio stato. Inviata a Giorgio Napolitano, prima delle dimissioni, la lettera è adesso al Quirinale nella speranza che sia presa a cuore dal Presidente Sergio Mattarella.
Condannato già dalla natura «Matricola n. KK029000779, il suo fine pena è 9999, “ergastolo”: ma l’unica cosa che Freni comprende è fumare, o mangiare; e questo è possibile solo grazie allo spirito di solidarietà nostra, che ci facciamo carico di tutto affinché non sprofondi in un abisso senza ritorno. Quanto scriviamo è solo una piccola porzione della vita giornaliera di Alfio, perché la sua non è una vita degna d’essere chiamata tale; sarebbe meglio chiamarlo “stato vegetale”, risultando egli condannato ancor più dall’ergastolo della “natura”, che da quello Stato Italiano».
Una nota di accompagnamento de Il Garantista aggiunge, che Alfio ha «gravi problemi mentali. Chi in carcere lo incontra racconta di una persona chiusa, estremamente remissiva, diffidente di tutto e di tutti e sembra spaventato dall’idea che vogliano da lui “confessioni”: non comprende dove si trova, non sa difendersi, non si fa difendere. È un uomo completamente abbandonato dalla famiglia. A suo tempo era seguito solo dalla madre, ma ora è anziana, ammalata e non ha soprattutto risorse economiche per aiutarlo. A tratti quel che ha dentro esplode in comportamenti violenti e spacca tutto quello che ha in cella, per poi finire quindi in isolamento con altrettante denunce per danni. I suoi compagni di detenzione sono sconvolti dalle sue condizioni, soprattutto trovano incomprensibile l’atteggiamento delle istituzioni. E quindi hanno preso a cuore il suo caso e si sono rivolti al presidente della Repubblica». 180215_GARANTISTA_NZ_PAG02
«Non possiamo girare la testa» Una condizione di vita tremenda quella raccontata dai detenuti di Ranza che si rivolgono al Presidente quale «unica speranza di Alfio, ci sono moltissime cose che si potrebbero scrivere per meglio farle comprendere quanta e quale sofferenza, inconsapevole, viva quest’uomo, che non si rende conto né dello spazio né del tempo in cui vive. Noi, qui, non possiamo girare la testa dall’altra parte, facendo finta di non vedere la cella dove vive, restando indifferenti. La nostra coscienza ci impedisce di non provare una grande tristezza nell’assistere giornalmente a questo rito».
Liberi dalle catene quest’uomo «Qualora ritenesse opportuno – si conclude la lettera firmata dai detenuti – valutare ed accogliere in qualche modo le nostre parole, ci renderebbe oltremodo felici di poter offrire il nostro contributo per liberare dalle “catene” un uomo, che non ha più nulla da chiedere alla vita, e che ha bisogno dell’umanità di tutta la società perché si possa sottrarre ad una fine certa, oltre che annunciata».
Un messaggio forte e civile che giunge dunque da dietro le sbarre di Ranza e che richiama alla mente le parole di Victor Hugo “la liberazione non è la libertà. Si esce dal carcere ma non dalla condanna”. Speriamo che il Quirinale voglia dare un segnale di speranza.