ROMA – Nel 2023 i matrimoni sono stati 184.207, in diminuzione rispetto all’anno precedente (-2,6%); il calo è stato più consistente nel Mezzogiorno (-5,8%) rispetto al Nord (-0,3%), in posizione intermedia il Centro (-1,3%). Lo rileva l’Istat.

I dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 mettono in luce una ulteriore diminuzione (-6,7%), a conferma di un ridimensionamento della nuzialità che negli ultimi quarant’anni non ha conosciuto soste, al netto di alcuni momenti storici duranti i quali il numero dei matrimoni ha mostrato andamenti altalenanti in relazione a fenomeni di tipo congiunturale.

Nel 2000, ad esempio, si rilevò un aumento dei matrimoni da collegare al desiderio di celebrare le nozze all’inizio del nuovo millennio. All’opposto, nel triennio 2009-2011, il calo fu particolarmente accentuato per il crollo delle nozze dei cittadini stranieri, scoraggiati dalle modifiche legislative volte a limitare i matrimoni di comodo. Inoltre, non va dimenticata la crisi economica del 2008 il cui impatto produsse effetti sui comportamenti nuziali delle coppie. Infine, nel 2020 si è assistito a un dimezzamento del numero dei matrimoni per effetto della pandemia da Covid-19 (e delle sue misure di contenimento) che ha visto molte coppie posticipare le nozze, in parte poi celebrate nel successivo biennio 2021-2022.

Nel 2023 i 139.887 primi matrimoni mostrano, se confrontati con l’anno precedente, una diminuzione del 4,3%, più consistente rispetto a quella del totale dei matrimoni (-2,6%). Nel 2023 la quota dei primi matrimoni rispetto al totale delle celebrazioni è pari al 75,9%, evidenziando un netto calo anche rispetto al 79,4% del 2019 (anno in cui il numero di matrimoni totali era stato simile a quello del 2023). La diminuzione tendenziale dei primi matrimoni, al netto delle oscillazioni di breve periodo, è strettamente connessa alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio). Queste ultime sono più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2022-2023 (da circa 440mila a più di 1 milione e 600mila), un incremento da attribuire soprattutto alle libere unioni di celibi e nubili.

Sul piano tendenziale, uno dei motivi per il quale la primo-nuzialità in Italia arretra si deve alla trasformazione del processo di transizione alla vita adulta. Quest’ultima oggi segue percorsi diversi rispetto al passato, quando il motivo prevalente di uscita dal nucleo di origine era legato alla formazione di una nuova famiglia attraverso le nozze. Secondo i dati dell’Indagine Famiglie e soggetti sociali (2016) tra le generazioni di uomini nate tra il 1982 e il 1986 la convivenza more uxorio è preferita al matrimonio (22,5% contro 21,8% di chi lascia la casa dei genitori entro i trent’anni); seguono le altre motivazioni quali, per esempio, lavoro, studio e autonomia. Tra le donne, l’uscita dalla famiglia di origine si concretizza in via preponderante tramite il matrimonio (40% tra le nate negli anni Ottanta), seguita dalla convivenza, con percentuali via via crescenti di generazione in generazione.

Negli ultimi decenni, inoltre, il ridimensionamento numerico delle nuove generazioni, dovuto alla bassa fecondità, che dalla metà degli anni Settanta si è sempre mantenuta ben sotto il livello di sostituzione, sta producendo un effetto strutturale negativo sui matrimoni. Man mano che le generazioni più giovani, meno numerose di quelle dei genitori, entrano nella fase adulta della vita si riduce la numerosità della popolazione in età da matrimonio e, di conseguenza, anche a parità di propensione a sposarsi, cala inesorabilmente il numero assoluto di nozze.

Sei matrimoni su 10 celebrati con rito civile

Nel 2023 il 58,9% dei matrimoni è stato celebrato con rito civile, in continuità con il valore dell’anno precedente (56,4%) e in linea con l’aumento tendenziale osservato nel periodo pre-pandemico (52,6% nel 2019). La quota particolarmente elevata di matrimoni civili osservata nel 2020 (71,1%) ha costituito quindi un’eccezione, determinata dalle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria che hanno colpito soprattutto le celebrazioni con rito religioso.

Il rito civile è chiaramente più diffuso nelle seconde nozze (95,0%), essendo spesso una scelta obbligata, e nei matrimoni con almeno uno sposo straniero (91,2% contro 52,7% dei matrimoni di sposi entrambi italiani). La scelta del rito civile va però diffondendosi sempre di più anche tra i primi matrimoni (47,5% nel 2023).

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Considerando i primi matrimoni tra sposi entrambi italiani (86,1% del totale dei primi matrimoni) l’incidenza di quelli celebrati con rito civile è del 41,0% nel 2023 (33,4% nel 2019 e 20,0% nel 2008). La variabilità territoriale per tale tipologia di coppia è spiccata: si riscontrano incidenze di celebrazioni con rito civile più basse nel Mezzogiorno (23,9%) e più alte nel Nord (56,1%).

La scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni (74,3%) si conferma tendenzialmente in crescita rispetto al passato (40,9% nel 1995, 62,7% nel 2008 e 73,4% nel 2022).

Prosegue l’aumento delle seconde nozze

L’aumento dell’instabilità coniugale contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e delle famiglie composte da almeno una persona che abbia vissuto una precedente esperienza matrimoniale, fenomeno che genera nuove tipologie familiari. Al tendenziale aumento di questa tipologia di matrimoni, registrato soprattutto nel biennio 2015-2016 come conseguenza dell’introduzione nel 2015 del “divorzio breve”, ha fatto seguito una progressiva stabilizzazione che si è protratta fino al 2019.

Nel 2023 le seconde (o successive) nozze per almeno uno degli sposi sono state 44.320, finora il valore più alto mai registrato (la quota sul totale dei matrimoni è del 24,1%). Tale percentuale solo nel 2020 era stata più elevata (28,0%) ma tale circostanza si verificò in realtà come conseguenza di una congiuntura sfavorevole che fece contrarre in modo più deciso i primi matrimoni e, tra questi ultimi, quelli religiosi. L’aumento delle seconde nozze per almeno uno degli sposi è del 3,3% rispetto al 2022; se entrambi gli sposi hanno un matrimonio precedente alle spalle l’aumento è più consistente (+7,2%).

Il 15,8% degli sposi e il 14,8% delle spose ha alle spalle un divorzio, ma tali percentuali mostrano un andamento crescente di pari passo all’aumentare dell’età dei nubendi; il 52,2% degli sposi e il 52,8% delle spose dai 50 anni in poi ha sciolto il proprio vincolo coniugale tramite il divorzio. Solo l’1,5% degli sposi e lo 0,9% delle spose prima del matrimonio era vedovo; le percentuali salgono, rispettivamente, al 6,3% e al 4,6% se si considerano sposi e spose dai 50 anni in poi (Figura 1).

I matrimoni successivi al primo avvengono quasi sempre con il rito civile; possono infatti essere celebrati con rito religioso solo quelli in cui il primo matrimonio era stato celebrato in Comune e quelli in cui, oltre all’annullamento degli effetti civili, si è ottenuto anche l’annullamento religioso del matrimonio.

Stabili i matrimoni con almeno uno sposo straniero

Nel 2023 sono state celebrate 29.732 nozze con almeno uno sposo straniero (il 16,1% del totale dei matrimoni), stabili rispetto al 2022. La quota di matrimoni con almeno uno sposo straniero è notoriamente più elevata nelle aree in cui è più radicato l’insediamento delle comunità straniere. Nel Centro-nord un matrimonio su cinque riguarda almeno uno sposo straniero mentre nel Mezzogiorno questa tipologia di matrimoni è pari al 9,3%. A livello regionale in cima alla graduatoria vi sono la provincia autonoma di Bolzano/Bozen (28,9%), l’Umbria (23,7%) e la Toscana (23,4%).

I matrimoni misti (in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero) ammontano a 21.211 e continuano a rappresentare la parte più consistente dei matrimoni con almeno uno sposo straniero (71,3%). Quasi i tre quarti dei matrimoni misti riguardano coppie con sposo italiano e sposa straniera (15.389, l’8,4% delle celebrazioni a livello nazionale nel 2023). Le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono 5.822, il 3,2% del totale delle spose.

La cittadinanza degli sposi nei matrimoni misti presenta diversità rispetto al genere e le ragioni di questi diversi comportamenti nuziali vanno ricercate, verosimilmente, nei progetti migratori e nelle caratteristiche culturali proprie delle diverse comunità, oltre che nella prevalenza maschile o femminile delle collettività presenti in Italia. Nel 2023 gli uomini italiani hanno sposato una cittadina rumena nel 19,8% dei casi, ucraina nel 9,7%, brasiliana nel 6,1% e russa nel 5,9%. Le donne italiane hanno contratto matrimonio più frequentemente con uno sposo di cittadinanza marocchina (11,9%) o albanese (8,5%).

I matrimoni tra cittadini entrambi stranieri ammontano a 8.521, di questi 5.184 con almeno uno sposo residente in Italia; i restanti 3.337 corrispondono a nozze celebrate in Italia da parte di non residenti.

Aumentano i matrimoni misti con nuovi cittadini

La possibilità di distinguere la cittadinanza degli sposi italiani, dalla nascita o per acquisizione, permette di far luce sui comportamenti nuziali in base al background migratorio. Tra i matrimoni misti, il 14,6% coinvolge uno sposo italiano per acquisizione; nel 2018 questa quota era esattamente la metà. Tra i matrimoni di entrambi sposi italiani, quelli in cui almeno uno dei due è italiano per acquisizione sono il 4,5% quota più che raddoppiata rispetto al 2018.

Considerando il complesso dei matrimoni con almeno uno straniero o un italiano per acquisizione (escludendo le coppie di entrambi italiani dalla nascita) quasi due matrimoni su 10 sono formati da coppie con entrambi italiani di cui almeno uno per acquisizione e quasi uno su 10 da coppie miste con italiani per acquisizione.

Il consistente aumento della presenza di italiani per acquisizione al momento del matrimonio è in linea con un più avanzato processo di integrazione dei cittadini stranieri; sempre più matrimoni, teoricamente misti, sono in realtà celebrati tra cittadini che alla nascita possedevano la stessa cittadinanza estera.

Unioni civili in aumento sul 2022

Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la Legge che ha introdotto in Italia l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Nel corso del secondo semestre 2016 si sono costituite 2.336 unioni civili, un numero particolarmente consistente che ha riguardato coppie da tempo in attesa di ufficializzare il proprio legame affettivo. Al boom iniziale ha fatto poi seguito una progressiva stabilizzazione.

Le 3.019 unioni civili tra coppie dello stesso sesso costituite presso gli Uffici di Stato Civile dei Comuni italiani nel 2023 evidenziano un aumento rispetto all’anno precedente (+7,3%), ma i dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 delineano un calo (-2,1%) rispetto allo stesso periodo del 2023.

Si conferma anche nel 2023 la prevalenza di unioni tra uomini (1.694 unioni, il 56,1% del totale), stabili rispetto all’anno precedente (56,7%).

Il 35,5% delle unioni civili è nel Nord-ovest, seguito dal Centro (24,3%). Tra le regioni, in testa si posiziona la Lombardia con il 23,5%; seguono il Lazio (13,3%) e l’Emilia-Romagna (10,4%).

A livello nazionale nel 2023 si sono avute 5,1 nuove unioni civili per 100mila residenti, mentre nel Mezzogiorno l’indicatore è all’incirca la metà. La Lombardia e l’Emilia-Romagna si collocano al primo posto a pari merito tra le regioni (7,1 per 100mila) seguite dal Lazio (7,0) e dal Piemonte (6,9) (Figura 4).

Emerge con evidenza il ruolo attrattivo dei grandi Comuni: più di un quarto delle unioni si sono costituite nel complesso dei 12 grandi Comuni. In testa si trova il Comune di Roma (con l’8,4%), seguito da quello di Milano (6,8%).

Le unioni civili con almeno un partner straniero sono il 17,0%; nel Centro si attestano al 18,1%, nel Nord al 17,4% mentre nel Mezzogiorno sono il 14,4%.

Al pari dei matrimoni, anche le unioni civili si caratterizzano per la presenza di partner con cittadinanza italiana per acquisizione: tra le unioni miste tra partner italiano e straniero, il 14,8% coinvolge un partner italiano per acquisizione; nel 2018 questa quota era circa un terzo. Tra le unioni di partner entrambi italiani, quelli in cui almeno uno dei due è italiano per acquisizione sono il 4,5%; quota quasi triplicata rispetto al 2018.

Considerando il complesso delle unioni civili con almeno uno straniero o un italiano per acquisizione (escludendo dall’analisi le coppie di entrambi italiani dalla nascita) il 17,9% è costituito da coppie con entrambi italiani di cui almeno uno per acquisizione e il 10,9% da coppie miste con italiani per acquisizione.

La disciplina delle unioni civili è sancita dalla Legge 20 maggio 2016, n. 76 sulla “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, entrata in vigore il 5 giugno 2016, e all’entrata in vigore del D.P.C.M 23 luglio 2016, n. 144 “Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri dell’archivio nello stato civile, ai sensi dell’articolo 1, comma 34, della Legge 20 maggio 2016, n.76”. Hanno fatto seguito i decreti attuativi (Decreti legislativi n. 5,6 e 7 del 19 gennaio 2017).