Nessun compiacimento e certamente nessun alibi o possibilità di riscatto: perché l’arte può essere rifugio, forse anche cura, ma da sola non permette di salvarsi.Prendete Henry James, il grandissimo Henry James, per esempio: uno dei grandissimi scrittori americani, riconosciuto e apprezzato dal mondo delle lettere quando è ancora un uomo di mezza età. Prendetelo per come ce lo racconta il romanziere irlandese The Master (Bompiani), libro che è stato definito come un’opera di finzione che segue fedelmente i fatti. Certamente meno di una biografia – anche perché si concentra su appena cinque anni della vita di James – e allo stesso tempo assai più di una biografia, perché di quella vita non si limita a raccontare i fatti, ma indaga sui segreti rapporti tra essa e la creazione letteraria.

James è autore affermato, appunto, anche se deve incassare il bruciante insuccesso londinese di un suo dramma. E’ l’americano che ha scelto l’Europa e che attraversa la crisi di un secolo al tramonto e che questa crisi fa sua oltre ogni consapevolezza.

Soprattutto è l’uomo che si ripiega, tentando di nascondersi al mondo e anche a se stesso. In realtà tuffandosi ancora di più nei ricordi e nelle paure. Incapace di accettare le relazioni per quello che sono e pretendono, James vive di rimpianti e forse anche di rimorsi. Gli affetti sono ciò che non è stato detto o fatto e ciò che forse avrebbe potuto essere diverso. Quanto agli istinti, ai desideri, meglio lasciare perdere. Solo una fiamma gelida al centro della vita.

Eppure da questi giorni sgorga l’acqua dell’ispirazione. Idee, trame, personaggi che si mescolano alla vita reale, che nascono dalla vita reale e a essa ritornano, in qualche modo.

Basterà? Certo che no. Ma la vita può essere anche questo, tempo che scorre, tempo distillato in letteratura. Quella letteratura che a volte è un’arma puntata contro se stessi.