SIENA – Dopo oltre un anno di monitoraggi e ricerca universitaria è stato individuato nel fiume Arbia, in provincia di Siena, l’ecosistema tipo della trasformazione, che sta colpendo l’ambiente italiano di fronte ad una globalizzata crisi climatica;
dai rilievi lungo l’alveo emerge che 28 specie arboree su 412 censite (6,8%) sono ormai aliene: “artemisia verlotiorum” e “robinia pseudoacacia” sono le più ricorrenti con una frequenza, che aumenta con la distanza dalla sorgente, indicando una correlazione con l’impatto antropico, secondo una divisione fra un tratto a Nord di elevata naturalità ed un tratto a Sud di Taverne d’Arbia a forte impatto umano.
“Ora – afferma Fabio Zappalorti, Direttore Generale di ANBI Toscana – i ricercatori dell’Università di Siena analizzeranno i fattori ambientali e le cause antropiche, che guidano la distribuzione delle più frequenti specie autoctone ed aliene. Questi risultati potranno essere utili ovunque, vista la crescente diffusione di specie invasive ad iniziare dalla Toscana.”
Lo studio sul fiume Arbia è parte della convenzione in atto tra il Consorzio di bonifica 6 Toscana Sud e le università della regione, resa ora più importante dall’invasione di piante aliene, che stanno minacciando i corsi d’acqua locali, estendendosi ormai anche nelle province di Grosseto e Siena; l’indagine ecologica, botanica e faunistica vuole quindi individuare linee guida per la gestione della vegetazione nei corsi d’acqua.
Una prima fase del progetto, oltre al fiume Arbia nel Senese, ha interessato il torrente Ampio in Maremma, dove è stato attuato un intervento sperimentale per la rimozione della specie invasiva “arundo donax”, cioè la canna comune: è in corso un esperimento con tre tipologie di trattamenti per dare risposte sulla possibile eradicazione della pianta, analizzando anche batteri e funghi associati, nonché mappando le tane di animali come istrici e tassi.
“Le azioni da intraprendere – osserva Martina Bencistà, ingegnere del Consorzio di bonifica 6 Toscana Sud, che sta curando il progetto – rappresentano un approccio integrato e sinergico tra gestione della vegetazione con tagli frequenti ed interventi mirati di chiusura delle tane. Nella maggior parte dei casi basta una sola chiusura per allontanare gli animali.”
“Lo studio effettuato con il software Hecras ha inoltre confermato che la presenza di vegetazione riparia a monte dei centri abitati rallenta le ondate di piena, avvalorando la correttezza delle più moderne tecniche di ingegneria idraulica ed ambientale, adottate dai Consorzi di bonifica – evidenzia Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela de Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) – Le ripetute collaborazioni fra il nostro mondo e quello accademico fanno degli oltre 220.000 chilometri della rete idraulica minore e degli ambienti connessi, uno straordinario laboratorio a cielo aperto.”
L’analisi toscana della vegetazione e degli habitat si è incentrata su altre tre aree chiave: i fiumi Ombrone (in provincia di Siena), Bruna ed Albegna (in provincia di Grosseto).
Sull’Ombrone si lavora lungo un tratto di circa un chilometro, a Buonconvento: lo studio ha l’obbiettivo di valutare l’impatto delle diverse metodologie di taglio sulla composizione e la diversità della vegetazione per individuare la migliore pratica sostenibile per il patrimonio di piante autoctone; i sensori installati registreranno i dati di temperatura nel microclima locale per un periodo minimo di un anno.
“Il monitoraggio verrà ripetuto tra la primavera e l’estate – aggiunge Fabio Bellacchi, Presidente del Consorzio di bonifica 6 Toscana Sud – E’ un progetto molto importante per aiutarci a convivere meglio con il nostro principale corso d’acqua.”
Sul tratto vicino alla foce del fiume Bruna, lo scopo della ricerca è invece valutare, se gli argini dei corsi d’acqua possano rappresentare un serbatoio di specie vegetali autoctone anche di pregio all’interno di aree agricole, soggette a colture intensive.
Il monitoraggio sul fiume Albegna, con la creazione di modelli 3D grazie anche a sopralluoghi aerei, vuole infine produrre una carta della vegetazione per analizzare i pericoli da alluvione: nonostante la presenza di “arundo donax” in gran parte del fiume, non sono finora emerse preoccupanti conseguenze per il rischio idraulico.
“Il migliore rapporto tra manutenzione, vegetazione, animali, antropizzazione, sicurezza idrogeologica, utilizzo delle risorse idriche è oggetto di costante ricerca applicata nei Consorzi di bonifica – conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – E’ da questo, costante approccio concreto, in collaborazione anche con il mondo accademico, che sono nate le soluzioni, che permettono, grazie all’innovazione irrigua, di ridurre considerevolmente il fabbisogno d’acqua nelle campagne. E’ questo stesso approccio che oggi ci permette di insistere sull’urgente necessità di nuove infrastrutture idrauliche per aumentare la resilienza dei territori alla crisi climatica. Il Piano Laghetti, da noi proposto con Coldiretti, è una soluzione, che offriamo al Paese.”