FIRENZE – Il sistema socio-sanitario toscano ha pronto un nuovo look. Gli interventi, sfruttando anche le risorse del Pnrr, riguardano innovazione, servizi digitalizzati, telemedicina e telemonitoraggio, la vera sfida della Toscana.
Questa riforma poggia su tre pilastri, case di comunità, ospedali di comunità e centrali operative territoriali. “La riforma di oggi è uno dei passaggi più importanti che abbiamo di fronte in questa legislatura – ha esordito l’assessore alla sanità, Simone Bezzini – : una delle poche occasioni che si sono presentate negli ultimi anni per costruire nuovi pezzi di welfare e stato sociale nella nostra regione. Vogliamo infatti raccogliere la sfida del Dm77 e degli investimenti infrastrutturali che arriveranno con il Pnrr mettendo in campo un pensiero toscano”.
Al centro della nuova architettura ci saranno il cittadino e la comunità, in un puzzle che vede incastrarsi da un lato la prossimità e una presa in carico continuativa dei pazienti là dove abitano, con risposte adeguate ai bisogni delle persone, e dall’altro la sostenibilità del sistema. “Non a caso – ha aggiunto l’assessore – gli effetti di questa riforma, se funzionerà, li misureremo anche dagli ospedali: tra gli obiettivi, oltre a cure diffuse, c’è la riduzione degli accessi impropri ai pronto soccorsi”.
Diversi i cambiamenti previsti. Il cittadino continuerà ad accedere al sistema attraverso il 116 o 117, rivolgendosi al medico o al pediatra di famiglia, alle case di comunità o al punto unico di accesso, attraverso il segretariato sociale o ai punti insieme, ai consultori e ai servizi della salute mentale delle dipendenze, ai centri servizi e ai centri per le famiglie.
La novità è costituita dalle centrali operative territoriali – 37 in tutta la Toscana, più di una dunque per zona distretto che sono ventotto, un medico e cinque infermieri in servizio in ognuna, aperte dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana, una a turno anche la notte e la domenica – e che funzioneranno in back-office come una sorta di cabina di regia smistando percorsi e bisogni in base alle esigenze del cittadino.
Nasceranno con la riforma le case di comunità, da 70 a 77 in tutta la regione. Là dentro dovranno necessariamente trovare casa non solo specialisti di base ma anche medici di famiglia, pediatri, infermieri di comunità e assistenti sociali. Offriranno assistenza in raccordo con la rete ospedaliera. La parola chiave è di nuovo integrazione, il coinvolgimento di tutte le professioni sanitarie e la presenza di equipe strutturate. Un sistema a rete, con il soccorso delle Uca – evoluzione delle unità mobili di distretto Usca tenute a battesimo durante la fase più acuta della pandemia – che offriranno aiuto ad esempio nel caso di emergenze organizzative o di focolaio, attivabili dai medici di famiglia.
E nasceranno anche gli ospedali di comunità, per le cure intermedie di persone fragili o anziane o con patologie croniche che necessitano di interventi a bassa intensità, se non trattabili a domicilio. Ci sarà almeno un ospedale di comunità in ogni zona distretto o per società della salute, con circa venti posti letto ogni 50 mila abitanti.